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07/01/12

TUTTI GLI ERRORI (ORRORI) DELLA RACCOLTA DIFFERENZIATA:


Mai gli scontrini e i cartoni sporchi della pizza con la carta. Nelle campane del vetro mai gettare la ceramica

MILANO - Differenziare è fondamentale, ma l’errore è sempre in agguato. Gettate i giornali nel cassonetto condominiale per la carta e trovate residui di pizza in un cartone? In quello del vetro adocchiate un piatto di ceramica e una pirofila in frantumi? Sono gli errori più comuni. Come la Barbie in mezzo alle bottiglie dell’acqua. O i vasi sporchi di terra. Ma cosa succede quando ciò che gettiamo in pattumiera non è adatto al riciclo?
VETRO - «Si crea un grosso danno al ciclo produttivo, soprattutto buttando ceramica e pirex in mezzo al vetro. I detector non riconoscono le particelle di ceramica, pur essendo macchine molto sofisticate, e quando il vetro viene triturato e compresso, anche la ceramica, che fonde a una temperatura differente dal vetro, viene inglobata nelle nuove bottiglie», spiega Walter Facciotto, direttore generale del Conai, Consorzio nazionale imballaggi. «Queste bottiglie però, che contengono particelle differenti dal vetro, possono scoppiare, sono a rischio». Quindi dipende da noi la qualità delle nuove bottiglie in circolazione. Riciclando un chilo di vetro si evitano le emissioni di CO2 di una utilitaria che percorre quasi 10 chilometri, secondo i dati del Coreve (Consorzio recupero vetro), mentre grazie al recupero e al riciclo di carta e cartone tra il 1999 al 2011 il Comieco (Consorzio nazionale recupero e riciclo imballaggi a base cellulosica) ha evitato la formazione di 222 discariche.
CARTA - «Per quanto riguarda la carta, l’errore più comune è buttare gli scontrini, carta termica che contiene solventi e aumenta lo scarto, oppure cartoni sporchi, con avanzi di cibo, che fermentano», continua Facciotto. Bisogna sottolineare che la raccolta differenziata è strettamente limitata ai soli imballaggi: e in questo senso gli errori più vistosi li registriamo tra i manufatti in plastica: giocattoli, articoli per la casa, articoli di cancelleria, da ferramenta e giardinaggio, piccoli elettrodomestici, qualsiasi oggetto in plastica o con parti in plastica, viene erroneamente buttato nella raccolta differenziata ma, per fare un esempio, una bambola o un gioco in generale, è prodotta con differenti polimeri, non riciclabili.
PLASTICA - Lo stesso vale per il vaso o la penna sfera, anche se privata del refill. Nella fase di selezione i singoli polimeri vengono separati prima del riciclo, e ciò che viene scartato va ai termovalorizzatori e recuperato energeticamente». Se con venti bottiglie di plastica (Pet) si fa una coperta in pile, con sette vaschette portauova si può tenere accesa una lampadina per un’ora e mezza, e le tonnellate di rifiuti in plastica raccolte in Italia lo scorso anno (dati Corepla, Consorzio raccolta recupero riciclaggio rifiuti imballaggi in plastica) sono pari a sette volte il volume della Grande Piramide in Egitto e a due volte il peso dell’Empire State Building. Considerando la mole dei rifiuti prodotti è quanto mai opportuno separare e riciclare al meglio. Anche perché i rifiuti «migliori» hanno più valore. Maggiore è la qualità del materiale che scartiamo, maggiore è il corrispettivo riconosciuto ai Comuni.
METALLI - Per l’acciaio, ad esempio, si va da un minimo di 38,27 euro a tonnellata a un massimo di 83,51 euro, per l’alluminio da un minimo di 173, 96 euro a tonnellata a un massimo di 426,79. L’Italia è al primo posto in Europa per il riciclo dell’alluminio: secondo dati Ciai (Consorzio imballaggi alluminio) nell’ultimo anno è stato recuperato l’80% degli imballaggi in alluminio circolanti nel Paese, mentre in più di dieci anni secondo il Consorzio nazionale acciaio sono state recuperate quasi 3 milioni di tonnellate di acciaio, l’equivalente in peso di 300 torri Eiffel. «Le buone ragioni per differenziare correttamente non mancano: tutto ciò che scartiamo è riutilizzabile come materia prima, se lo buttiamo correttamente», conclude Walter Facciotto. «Per questa ragione, dovremmo andare periodicamente alle isole ecologiche e smaltire là le lampadine, i piccoli elettrodomestici, i cellulari, il legno. È un piccolo gesto che ognuno di noi può fare per l’ambiente senza troppa fatica».

Etichette e loghi green, ecco una utile guida per orientarsi:


Quali sono e cosa significano i più diffusi simboli da cercare su etichette di prodotti, oggetti e confezioni

L'interesse per gli acquisti verdi è da anni in crescita, anche in Italia. Uno stile di vita rispettoso dell’ambiente richiede scelte fatte con impegno e attenzione. Ecco quali sono e cosa significano i più diffusi simboli da cercare su etichette di prodotti, oggetti e confezioni che vantano caratteristiche di ecosostenibilità.
I loghi delle ecoetichetteI loghi delle ecoetichette    I loghi delle ecoetichette    I loghi delle ecoetichette    I loghi delle ecoetichette    I loghi delle ecoetichette
QUALITÀ AMBIENTALE – Il primo marchio è stato Der Blaue Engel («angelo azzurro», una figurina umana coronata d'alloro), nato nel 1978 in Germania per contrassegnare i prodotti che rispettavano l'ambiente per diversi aspetti quali il contenuto di sostanze nocive, le emissioni inquinanti in aria, rumore, riduzione dei rifiuti, risparmio di risorse ed energia. Dieci anni dopo è nata l'etichetta scandinava Nordic Ecolabel, il cui simbolo è un cigno stilizzato su barre verdi. Nel 1992 nasce l'Ecolabel, l'etichetta ecologica europea: una margherita il cui bottone è una «e» con dodici stelline come petali. Questi marchi sono concessi da enti terzi dopo precisi controlli quindi sono una garanzia, oltreché di ecologia, anche di un'informazione chiara e affidabile. Si trovano oggi sulle etichette di decine di migliaia di prodotti che hanno un minore impatto ambientale durante l'intero ciclo di vita, dall'estrazione delle materie prime alla produzione e smaltimento. Non si riferiscono però necessariamente all'uso di materie prime riciclate.
RICICLABILE E RICICLATO – Il logo più famoso è anche quello meno significativo e vincolante. Ogni azienda, senza controlli da parte di un ente terzo, è libera di decidere se usare o no le tre freccine che si inseguono (freccine di Möbius) per indicare i prodotti fatti di materiali che si possono riciclare, cioè che sono banalmente «riciclabili». Ben diversa l'interpretazione del marchio negli Stati Uniti, dove è usato su prodotti di materie prime già riciclate. Esiste anche un logo tondo con due freccine che si rincorrono in tondo, il Der Grüne Punkt, gestito dall'associazione europea di industrie dell'imballaggio Pro Europe: segnala che è stato correttamente pagato il contributo per la gestione della raccolta differenziata.
PRODOTTI DI LEGNO E FORESTE - I marchi Fsc e Pefc si possono trovare su carta, cartone e legno e certificano che tutti gli alberi usati provengono da foreste gestite in modo sostenibile, rispettando determinati standard ambientali e sociali. Sempre più spesso si trovano in abbinamento con la percentuale di fibre riciclate. Fsc identifica una Ong internazionale nata nel 1993 indipendente e senza scopo di lucro, la Forest Stewardship Council, che raggruppa associazioni ambientaliste e sociali, comunità indigene, proprietari forestali, industrie per la lavorazione e commercializzazione del legno, scienziati e tecnici. Pefc, Programme for Endorsement of Forest Certification, è una certificazione volontaria del settore privato e senza fini di lucro, nato nella Ue come risposta al Fsc dopo diversi incontri tra i rappresentanti di proprietari forestali di alcuni Paesi promotori (Austria, Finlandia, Francia, Germania, Norvegia e Svezia), cui sono seguite altre adesioni. Al momento sono coinvolti 14 paesi europei, ciascuno con il rispettivo organismo di gestione nazionale. Diversamente da tutti gli altri, questi due loghi vanno a certificare sia il prodotto finito, sia la filiera produttiva a partire dalla fonte, le foreste.
AGRICOLTURA BIOLOGICA – Il nuovo logo europeo del bio è nato da un concorso aperto a studenti d'arte, vinto dallo studente tedesco di design Dušan Milenković. Dal 1° luglio 2010 deve essere obbligatoriamente ben visibile su tutti i prodotti alimentari da agricoltura biologica nel mercato europeo, che rispettano il Regolamento del Consiglio Ce 834/2007. Dà sicurezza riguardo l'origine e la qualità degli alimenti e delle bevande. L'agricoltura biologica è un metodo che esclude l'uso di pesticidi e concimi sintetici nel terreno, ha un basso impatto ambientale e garantisce l'assenza di residui indesiderabili nel cibo. In Italia operano venti organismi di controllo autorizzati dal ministero delle Politiche agricole che verificano, con ispezioni annuali, il rispetto dei regolamenti da parte delle aziende biologiche, concedendo infine l'uso del marchio.
TESSILE – La scritta «Fiducia nel tessile» campeggia sotto l'arco di una margherita ricamata nel logo degli istituti indipendenti di prova aderenti all’associazione internazionale Oeko-Tex. Si trova su tessuti, capi d'abbigliamento, accessori e biancheria da letto che rispettano l'Oeko-Tex Standard 100. Non è solo una dichiarazione di impegno a produrre manufatti garantiti dal punto di vista ecologico, ma soprattutto un riconoscimento oggettivo che si ottiene con prove di laboratorio che verificano l'assenza di sostanze nocive. I capi di abbigliamento e gli altri prodotti tessili vantano così l'ulteriore garanzia di essere stati analizzati per valutarne l’innocuità per la salute umana.
AZIENDE – Esistono anche certificazioni non di singoli oggetti ma di intere aziende e stabilimenti. La più nota è lo standard ISO 14001, a cui aderiscono le imprese che riescono a realizzare un «sistema di gestione ambientale» al loro interno, cioè che tengono sotto controllo gli aspetti ambientali nei siti produttivi, negli uffici, in ogni fase dell'attività. In Italia siamo secondi in Europa, dopo la Spagna, con oltre 14.000 certificati emessi. Una sorta di estensione di questa norma è l'Emas, che accentua l'attenzione sulle prestazioni ambientali nel tempo, gli obiettivi di miglioramento e gli aspetti di comunicazione esterna. La scritta ISO 14001 e il logo Emas non si trovano sulle etichette, ma le aziende li possono apporre sui loro materiali istituzionali e pubblicitari, carta intestata e siti Internet.
LA FUTURA ETICHETTA DEL CLIMA –È in discussione un nuovo sistema per contrassegnare prodotti il cui impatto sul clima sia stato calcolato, in termini di emissioni di CO2. Starà a indicare il rispetto dello standard ISO 14067 e sarà riconosciuto a livello mondiale. Il logo potrebbe comunicare immediatamente che il prodotto è attento all'ambiente, e nello stesso tempo riportare i dati esatti del suo impatto energetico-climatico.
(Con la collaborazione di Daniele Pernigotti, delegato italiano in ISO/TC 207, presidente Club Emas Veneto, autore di 'Carbon Footprint' Ed. Ambiente)