Aiutaci anche tu a diffondere questo blog, clicca sul quadratino in alto a sinistra CONDIVIDI



08/03/12

Parrucchieri ecologici: quali servizi dovrebbero offrire,

Da che mondo è mondo le donne hanno prestato estrema attenzione alle loro acconciature, strumento di fascino, di seduzione, fattore di sicurezza. E anche in tempi di crisi al parrucchiere non si rinuncia. Raramente però ci si chiede quanta energia si consumi nei saloni di bellezza. O quale sia l’impatto ambientale delle sostanze chimiche utilizzate sui nostri capelli.Per quanto riguarda il primo aspetto, bisogna dire che, tra tutte le attività commerciali, quella dei parrucchieri è sicuramente una delle più energivore. E se il vostro parrucchiere non ci ha già pensato, fategli presenti le seguenti considerazioni:

* Modulando la potenza degli asciugacapelli o limitandone l’utilizzo al tempo strettamente indispensabile (ovvero spegnendoli negli intervalli di tempo in cui non sono necessari), il risparmio può arrivare al 40% in un anno.

* Il consumo di acqua da parte dei parrucchieri è stratosferico: con la semplice installazione dei riduttori di flusso (anche noti come rompigetto) si può risparmiare fino al 66% dell’acqua.

* L’illuminazione dei saloni è un’altra voce importante: sostituendo i fari alogeni con lampade a LED, a parità di flusso luminoso ottenuto, il risparmio di corrente elettrica sfiora l’80%.

Per quanto riguarda il secondo aspetto che citavamo sopra, siamo convinti che debba aumentare la richiesta da parte della clientela per l’utilizzo di prodotti ecocompatibili, dagli shampoo alle tinture, alle lozioni, ai fissatori. Si fa presto a dire che un prodotto è “naturale”, ma i parrucchiere che utilizzano tinture e trattamenti 100% biologici e privi di componenti di sintesi si contano sulla punta delle dita.
Le erbe officinali con proprietà curative e coloranti sono l’hennè, la camomilla, il rabarbaro, lo zafferano selvatico, la cassia, l’indigo, il mallo di noce, la calendula. Per nulla aggressive, sono perfette per soggetti allergici, donne in gravidanza o anche semplicemente per chi vuole vedere migliorare sensibilmente lo stato del suo cuoio cappelluto e della pelle del viso. I colori ottenuti sono decisi e vivaci, hanno ben poco da invidiare ai trattamenti chimici. Anzi, poiché le erbe non penetrano nel fusto del capello come fanno le normali tinte, ma creano uno strato intorno a esso, la capigliatura risulta più corposa e vitale. Un cambiamento di vita in direzione naturale che può iniziare anche da qui.

Arance amare: Coca Cola continuerà a comprare a Rosarno. Ma gli agricoltori protestano!

Dopo le accuse e lo polemiche sullo sfruttamento dei lavoratori immigrati e clandestini, seguite a un’inchiesta di The Ecologist, la Coca Cola Company fa sapere che le arance calabresi di Rosarno non spariranno dalle lattine della Fanta.

È l’esito dell’incontro voluto dal ministro delle Politiche agricole Mario Catania, che è riuscito a strappare la rassicurazione dai vertici della multinazionale, a seguito delle ipotesi circolate tra gli agricoltori di tutta la Piana di Gioia Tauro sullo stop agli ordini per tutelare la propria immagine.
L'azienda non ha mai avuto intenzione di ritirarsi dal mercato italiano e dalla Calabria - ha detto il direttore generale affari pubblici Europa di Coca Cola, Salvatore Gabola -. Il marchio Fanta non lascia il mercato locale e non lascia Rosarno. Le notizie riportate nei giorni scorsi erano erronee e riguardavano solo un fornitore, ma dato l'eco ricevuta abbiamo scelto di intraprendere da subito la contrattazione con i fornitori calabresi”.
Ma, aggiunge Gabola, “è nostra intenzione realizzare contratti più sostenibili”. In tale ottica la multinazionale si è impegnata a comprare sul mercato italiano l'intero fabbisogno di prodotto utile per la produzione della Fanta per l'Italia. “Un messaggio di rasserenamento - ha commentato il ministro Catania- non c'è motivo di preoccuparsi, non c'è nessun presupposto di abbandono delle imprese, semmai ci sono i presupposti per rilanciare la collaborazione su nuove e più proficue basi”.
E per quanto riguarda la spinosa questione dello sfruttamento del lavoratori immigrati? "Non sempre le condizioni di raccolta delle arance - ha confermato il ministro Catania - sono in linea con gli standard, ma Coca Cola ha assicurato piena collaborazione nel verificare il rispetto di condizioni di lavoro equo, annunciando audit e controlli più stringenti. Il ministero aprirà inoltre un tavolo con le istituzioni locali, le imprese agricole e le aziende coinvolte nella filiera, per migliorare la competitività del settore (in particolare affrontando il problema della frammentazione dell'offerta e della lungaggine della filiera), tutelare il reddito dell'azienda agricola e migliorare le condizioni lavorative degli immigrati".dgets Magazine

A Rosarno, invece, gli imprenditori della Coldiretti, i lavoratori, italiani ed extra-comunitari, e i rappresentanti delle istituzioni locali, sono scesi in piazza con oltre 100 trattori per dire "No all'aranciata che spreme agricoltori, lavoratori e inganna i consumatori", per denunciare le motivazioni alla base dello sfruttamento sia degli agricoltori che dei lavoratori. Secondo un'analisi della confederazione, per un'aranciata venduta sugli scaffali a 1,3 euro al litro, agli agricoltori vengono riconosciuti solo 3 centesimi per le arance contenute, del tutto insufficienti a coprire i costi di produzione e di raccolta.
È indispensabile - sottolinea la Coldiretti in una nota - formulare degli accordi che non prescindano dal riconoscimento dei costi di produzione e dalla remunerazione del prodotto garantendo un prezzo all'agrumicoltore almeno di 15 centesimi al chilo passando anche attraverso un accorciamento della filiera”.
Insomma, basterebbe pagare le arance ai produttori qualche centesimo di più, aumentare di alcuni punti percentuali il succo di agrumi nelle bibite e indicare l’origine delle arance sulle etichette delle bottiglie per spezzare la catena di sfruttamento che sottopaga il lavoro ed il suo prodotto.

Nemesi Animale denunciata per il video delle galline di Bruzzese. Italia come gli USA?

galline-nemesi-animale
Denunce, querele e perquisizioni. Gli attivisti di Nemesi Animale,“rei” di aver reso pubblica, lo scorso gennaio, la situazione vergognosa in cui la ditta Bruzzese detiene le galline spennacchiate e ferite nei propri capannoni, tra sporcizia, animali lasciati agonizzanti nei corridoi e consuete gabbie sovraffollate, sono stati denunciati per aver “videoripreso le fasi delle proprie condotte e averle diffuse via internet e attraverso le testate giornalistiche e televisive”.
Perché le immagini sono false, sono state riprese in altri allevamenti, tuona la ditta. Così, in seguito ad una sua denuncia contro ignoti, procuratori e carabinieri adesso stanno cercando chi è entrato in quegli orribili capannoni, con pressioni e perquisizioni, spiega Nemesi Animale in un comunicato. L’unico appiglio per le indagini di Pasquale Addesso, procuratore della Reppubblica presso il Tribunale di Busto Arsizio, sarebbe il recapito telefonico presente sul sito, intestato a un’attivista che, dopo essere stata denunciata per favoreggiamento, in quanto persona informata sui fatti, ha subito una perquisizione da parte di due pattuglie dei carabinieri lo scorso 28 febbraio 2012.
Il tutto per rinvenire qualcosa che potesse portare a imputarle uno dei capi di reato di cui si accusano gli attivisti nella denuncia-querela contro ignoti, cioè “aver forzato la porta d’ingresso e essersi introdotti all’interno del capannone di proprietà privata dell’Azienda agricola Bruzzese in data 05/06 gennaio”, “aver utilizzato strumenti di ripresa visiva e sonora per procurarsi indebitamente immagini attinenti la vita privata svolgentesi all’interno del capannone di proprietà privata dell’azienda agricola Bruzzese e averle poi successivamente diffuse ai mezzi di informazione pubblica”, “aver danneggiato i locali manomettendo la pulcinaia, asportando gli animali dalla cella cadaveri e spargendoli sul pavimento” e, dulcis in fundo, di aver rovinato la reputazione della ditta Bruzzese. Tutti atti inventati di sana pianta, spiega Nemesi Animali, accaduti in questo “fantomatico” 5 gennaio, che sarebbe persino successivo alla pubblicazione dell’ investigazione risalente, invece, al mese di dicembre.
Per la ASL e per un’ispezione congiunta di più organi di controllo, la situazione nei capannoni sarebbe stata regolare, mentre a supporto degli attivisti ci sono le immagini di Striscia La Notizia, che, sempre a Gennaio, è riuscita ad entrare in uno dei capannoni, documentando una situazione abbastanza simile a quella mostrata nel filmato di Nemesi Animale. “Quali menzogne userà Bruzzese per spiegare condizioni di animali ridotti senza nemmeno una piuma e con enormi tumori, vaganti per il suo capannone?”, si chiede l’associazione animalista entrata nel mirino delle indagini. Insomma, una vicenda ancora tutta da scrivere che lascia però emergere un grande paradosso: la colpa è di chi mostra la verità nuda e cruda che si nasconde dietro gli allevamenti intensivi e non di chi dovrebbe essere semmai accusato, cioè l’allevatore che detiene in pessime condizioni gli animali che alleva.
Non sarà che stiamo facendo anche noi, qui in Italia, la fine degli Stati Uniti, dove ormai essere attivisti è considerato un reato? Oltre oceano esiste, infatti, una legge federale nota con l’acronimo AETA, che sta per Animal Enterprise Terrorism Act, che rende paragonabili al terrorismo gli atti intrapresi al fine di interferire o danneggiare le attività di un’azienda che utilizzi animali. Questa settimana, dopo oltre un anno di polemiche, la norma è stata approvata nell’Iowa, entrato ora a far parte degli Stati in cui sono state già emanate misure simili, come Montana, North Dakota e Kansas. Ora anche Illinois, Missouri, Utah, New York, Nebraska, Indiana e Minnesota stanno valutando l’ipotesi di rendere illegali i filmati e le fotografie ottenute sotto copertura negli allevamenti di animali.


Il video incriminato
Si tratta di un ostacolo in più per i diritti degli animali attivisti che cercano di esporre alla gogna pubblica le aziende che infrangono le regole. Ma cosa si nasconde dietro le leggi che vietano le indagini, dietro le pressioni e le minacce che la lobby degli allevatori attua continuamente? La risposta è evidente: quello che è in gioco è l’immagine delle aziende e gli enormi interessi che ruotano attorno allo sfruttamento di innocenti creature. Perché non è un segreto che solo grazie a queste persone coraggiose è stato possibile smascherare le enormi crudeltà perpetrate contro gli animali, far luce sull’orribile verità che si nasconde dentro gli allevamenti, luogo di tortura, sfruttamento e oppressione.

iPad3: 5 cose che dovete sapere prima di acquistare il nuovo gioiello Apple,

iPad3

iPad 3: ormai mancano solo pochi minuti al lancio, alle 10.00 ora locale (le 19.00 in Italia) presso lo Yerba Buena Center of Arts di San Francisco, dell'ultima versione della terza versione della tavoletta magica e continua, in queste febbricitanti ore prima dell’evento, l’incessante girandola di anticipazioni, rumors e indiscrezioni su aspetto e funzionalità del nuovo prodotto Apple, un gioiellino che, secondo gli analisti sarà in grado di far balzare le vendite a quota 100 milioni di iPad entro la fine del 2012.
Insomma, per gli appassionati delle nuove tecnologie oggi è il grande giorno, segnato ormai da tempo sul calendario. Ma prima che la tentazione di correre a comprare l'iPad3 si impossessi anche di voi, ci sono alcune cose che dovreste sapere sulla Mela di Cupertino e sulle sue politiche aziendali. Ecco le 5 cose che dovete sapere prima di acquistare l’iPad 3, che toccheranno le coscienze anche dei più grandi fan del compianto Steve Jobs.

1 Violazione dei diritti umani

Come forse avrete letto o visto in tv, le fabbriche cinesi legate alla Apple sono state accusate più volte e da diverse associazioni di gravi violazioni dei diritti umani. Al loro interno sono stati impiegati bambini di età inferiore ai 15, gli operai sono stati sottoposti a straordinari forzati, costretti a subire la precarietà del lavoro e il clima di perenne ricatto, con provvedimenti disciplinari ai danni di chi rallenta il ritmo della produzione. Solo per citare uno dei tanti documenti, date un’occhiata a "The other side of Apple", uno studio realizzato da 36 ong cinesi sulle pessime condizioni dei lavoratori.

2 Suicidi Foxconn

Foxconn è diventato uno degli stabilimenti più tristemente famosi al mondo, dopo l’incredibile serie di suicidi che si sono susseguiti al suo interno nel 2010 proprio a causa delle cattive condizioni di lavoro e dei bassi salari, ma anche per la mancanza di relazioni umane dentro la fabbrica e le pressioni psicologiche da parte del management. Ma da allora dei “miglioramenti” sono stati fatti: per prevenire queste tragedie la Foxconn ha installato delle reti “anti-suicidio”. Bel modo per risolvere la situazione…Per approfondire questo tema, consiglio di dare un’occhiata al video Deconstructing Foxconn del Professore Jack Qiu.

3 Inquinamento

Oltre allo sfruttamento dei lavoratori, altro “marchio di fabbrica” dei gioiellini Apple è l’inquinamento ambientale provocato dai sistemi di produzione dei fornitori pericolosi per l’ambiente, la salute dei lavoratori, ma anche degli abitanti che vivono intorno alle fabbriche. Il tutto sarebbe documentato in Bad Apple, un rapporto realizzato a seguito di un’indagine condotta per cinque mesi dalle ONG cinesi. Il dossier mostra una situazione agghiacciante che va dagli scarichi illegali di sostanze inquinanti contenenti rame, nickel e cianuro, alla prova della liberazione di gas tossici, passando per le emissioni industriali che superano di gran lunga i limiti di legge.

4 Fair Labor Association

A seguito delle continue critiche sull’inquinamento ambientale e sulla violazioni dei diritti umani, la Apple ha aderito alla Fair Labor Association, acconsentendo a far condurre delleispezioni nelle ditte di assemblaggio asiatiche. Una squadra della FLA intervisterà oltre 35.000 dipendenti, ma, se per un rapporto completo dovremmo aspettare il mese di marzo, alcuneindiscrezioni rivelerebbero che gli ispettori hanno già trovato "tonnellate" di problemi.

5 Tentativi di sostenibilità

Se questa è la situazione sui fornitori della Apple, senza citare la vergognosa situazione delle miniere congolesi, in cui si estrae “semi-legalmente” il Coltan, in casa propria, negli States, la Mela pare aver fatto grandi passi in avanti per migliorare il bilancio sociale e ambientale. Ne sono un esempio l’installazione di nuovi pannelli solari per alimentare il data center del North Carolina, il centro server dove sono contenuti i dati iCloud, o il fatto che nell’Eco-guida ai prodotti elettronici recentemente aggiornata di Greenpeace, dove l’Azienda di Tim Cook si piazza ben quarta, grazie alle sue strategie di recupero dei rifiuti elettronici o l'utilizzo di materiali non tossici. Ma la Apple continua la sua marcia anche verso l’innovazione tecnologica e, rinnovando il suo interesse per le energie alternative, pare stia fortemente puntando sull’idrogeno.
In conclusione, nonostante gli sforzi di trasparenza e sostenibilità, i dipendenti in Cina e negli altri Paesi asiatici continuano a sopportare condizioni di lavoro insostenibili. Forse quando la FLA concluderà le proprie verifiche sarà un po’ più chiaro se l’iPad3 e tutti gli altri prodotti Apple potranno essere un po’ più sostenibili, sia dal punto di vista sociale che ambientale. E se proprio non potete fare a meno dell’acquisto super geek, non conviene almeno aspettare fino ad allora?

La Panda a idrometano in Trentino – Alto Adige: veramente ecologica!

La collaborazione tra il TIS Innovation Park dell’Alto Adige e Iveco DV, Röchling Automotive, GKN Driveline, Hofer Powertrain e Multienergy Alpenga, ha dato vita a una nuova Fiat Panda a idrometano, ossia un mix tra normale metano per auto e idrogeno. Quest’ultimo può arrivare fino al 30% e i risultati sono molto promettenti. Dalle prime misurazioni emerge infatti una riduzione delle emissioni di CO2 del 14,2% rispetto al normale metano, a sua volta già meno inquinante rispetto a gasolio e benzina.

Approfondimento: Auto a metano: vantaggi e svantaggi di un veicolo a metano

Tale progetto ha l’ambizione di riuscire a utilizzare l’idrogeno in maniera semplice, senza doverlo stoccare a bassissima temperatura e ad alta pressione. Facendo defluire l’idrogeno nell’ammoniaca o nel metano, infatti, lo si può utilizzare con maggiore semplicità e minori costi.
Altro aspetto molto importante dell’idrometano è che, essendo composto al 70% da metano, può diventare facilmente bio-idrometano. Basta sostituire il metano fossile estratto dai giacimenti sotterranei con il biometano prodotto nei centri di compostaggio dei rifiuti urbani e agricoli. La frazione umida, inserita in un “digestore”, si decompone liberando un gas che può essere bruciato in maniera molto simile al fossile autentico.
Geniale no? Speriamo che trovi anche rapida diffusione….