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31/10/12

Pesticidi nel piatto, ecco il rapporto di Legambiente


C’è la faccia rassicurante della medaglia: il numero, stabile rispetto allo scorso anno, dei campioni di frutta e verdura fuorilegge (fermi allo 0,6%) e di quelli legali contaminati da un solo residuo chimico (18,3%). E c’è la faccia preoccupante: complessivamente un terzo (il 36%) dei campioni di frutta e verdura analizzati (dati ufficiali forniti da Arpa, Asl e uffici pubblici regionali competenti) presenta residui di fitofarmaci, e aumentano i campioni da record, con tanti, fino a nove, principi attivi presenti contemporaneamente. Ecco, in sintesi il risultato di Pesticidi nel piatto 2012, il rapporto annuale di Legambiente sui residui di fitofarmaci nei prodotti ortofrutticoli e derivati commercializzati in Italia (scaricabile in fondo alla pagina cliccando sul link). CLICCA QUI PER SCARICARTI L'INTERESSANTE RAPPORTO DI LEGAMBIENTE

30/10/12

Sosteniamo Manduvirà e la costruzione di uno zuccherificio in Paraguay


Campagna di raccolta fondi in favore della Cooperativa Manduvirà, Paraguay

Parte ad ottobre 2012, nelle Botteghe aderenti, una campagna di raccolta fondi che aiuterà la costruzione del primo zuccherificio di proprietà dei produttori in Paraguay

Per la prima volta nella storia del Paraguay i coltivatori saranno anche proprietari dell’azienda che trasforma la canna da zucchero. Altromercato ha fortemente sostenuto questo progetto, ma mancano circa 80.000 euro per vederlo finalmente realizzato.

Puoi aiutarci a portare a termine questo progetto acquistando nelle Botteghe Altromercato che aderiscono alla raccolta fondi lo zucchero Altromercato, il calendario 2013 che sarà disponibile da ottobre nei negozi oppure attraverso una donazione.

Maggiori informazioni CLICCANDO QUI

29/10/12

Legno ecologico dagli scarti delle banane

Gli scarti dei banani possono tornare a nuova vita. Come? Diventando legno a basso impatto ambientale. Non è utopia ma un progetto già immesso sul mercato dall'azienda Beleaf con un processo innovativo analizzato dal Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC), in collaborazione con WWF Italia.

Com'è nata l'idea di trasformare gli scarti del banano in legno? Questo materiale viene solitamente sminuzzato e interrato dai coltivatori delle piantagioni delle zone tropicali, perché è un ottimo fertilizzante naturale. Ma in superficie è usato anche per contenere la crescita delle erbe infestanti e mantenere il giusto grado di umidità del terreno. Proprio a partire dall’acquisizione di queste conoscenze locali, Beleaf ha puntato sul potenziale riciclo dei fusti di banano.

La nuova materia realizzata grazie agli scarti della coltivazione delle banane presenti nelle aree tropicali potrebbe arrivare a sostituire il legno di pannelli e impiallacciature riducendo gli impatti ambientali del 90%. In sostituzione del classico legno proveniente dalle foreste, l'uso della sola biomassa vegetale, uno scarto, un rifiuto se vogliamo, potrebbe evitare l’uso di risorse primarie forestali, riducendo la deforestazione e l’occupazione di suolo nel caso di impianti fortemente inquinanti.

Oltre a salvare le foreste, il legno prodotto dal banano non necessita di colle e sostanze chimiche inquinanti grazie alla presenza delle resine naturali della pianta. Ma non solo: azzera anche l’impiego di risorse idriche nella catena produttiva perché nel banano è presente un'elevata percentuale d'acqua. Una miniera di salute per l'uomo e l'ambiente. Con un risvolto sociale. Il processo produttivo impiegato da Beleaf per il trattamento del legno ha coinvolto nella fase di raccolta della materia prima (scarti del banano) i piccoli proprietari terrieri a conduzione agricola familiare, escludendo i terreni gestiti da multinazionali. I benefici riguardano dunque l'occupazione in aree del mondo svantaggiate.

Quanto fa bene all'ambiente il nuovo legno? Solo considerando la realizzazioni dei prodotti principali come pannelli e piallacci, vengono rispettivamente risparmiati il 32% e il 58% di emissioni di gas serra, rispetto al processo convenzionale di produzione di impiallacciature di legno. Senza contare i vantaggi legati ad un rallentamento della deforestazione. “Con un minimo sforzo la catena produttiva promossa da Beleaf, che usa materiali di scarto, ha coniugato in questo suo prodotto innovazione di mercato e bassi impatti ambientali, sviluppando un modello replicabile a tutti i Paesi attivi in questa produzione” – ha detto in una nota Massimiliano Rocco, Responsabile Foreste WWF Italia - Oggi più che mai bisogna diminuire la pressione dall’uso massiccio e illegale del legname proveniente dalle foreste tropicali e fare del riciclo un imperativo di vita. Questo nuovo prodotto raggiunge entrambi questi obiettivi, contribuendo alla sfida che noi tutti dobbiamo cogliere di rendere sostenibile la nostra presenza per questo pianeta, che è l’unico che abbiamo.”

27/10/12

La catastrofe certificata, campagna abiti puliti in Pakistan

Le organizzazioni di difesa dei diritti dei lavoratori invitano la Social Accountability International (SAI) a rilasciare informazioni sui buyers della fabbrica e le relazioni degli audit di ispezione - Alle vittime del tragico incendio avvenuto in Pakistan sono negate informazioni cruciali per rivolgersi ai buyer coinvolti - SAI e SAAS si rifiutano di cooperare per individuare i buyers internazionali della fabbrica o di rilasciare le conclusioni dei revisori accreditati - La certificazione SA8000 ha attestato la buona salute della fabbrica Ali Enterprises che è andata a fuoco ed è costata la vita a quasi 300 lavoratori tessili La Clean Clothes Campaign (CCC), il Worker Rights Consortium (WRC), il Maquila Solidarity Network (MSN), l’International Labor Rights Forum (ILRF) e ilNational Trade Union Federation Pakistan (NTUF) richiedono alla Social Accountability International (SAI) con sede a New York e la collegata struttura Social Accountability Accreditation Services (SAAS) a rilasciare tutte le informazioni in loro possesso riguardo la fabbrica tessile Ali Enterprises, dove circa 300 lavoratori hanno perso la vita nell’incendio del mese scorso. Solo un mese prima, la Ali Enterprises aveva ricevuto la certificazione SA8000 dal Registro Italiano Navale Group (RINA), società di ispezione accreditata dal SAAS (Social Accountability Accreditation Services).

La SA8000 è uno strumento che dovrebbe certificare il comportamento eticamente corretto delle imprese e della filiera di produzione verso i lavoratori attraverso il possesso di alcuni requisiti standard, tra cui il rispetto dei diritti umani, il rispetto dei diritti dei lavoratori, la tutela contro lo sfruttamento dei minori, le garanzie di sicurezza e salubrità sul posto di lavoro.

L’ 11 Settembre scorso quasi 300 lavoratori sono stati uccisi da un incendio divampato nella fabbrica che produceva jeans per l'esportazione. La fabbrica non era legalmente registrata presso il governo del Pakistan e non aveva assunto la maggior parte dei lavoratori con contratti di lavoro regolari. L’enorme bilancio delle vittime è il risultato di inadeguate uscite di sicurezza, scale bloccate e finestre sbarrate, che hanno impedito la fuga di molti lavoratori dall'incendio.

Nasir Mansoor dalla National Trade Union Federation in Pakistan ha dichiarato: “È incredibile che importanti aziende di abbigliamento e gli enti di accreditamento nascondano il loro coinvolgimento nella fabbrica Ali Enterprises o neghino la loro responsabilità nell’incendio. Le famiglie dei lavoratori deceduti e feriti meritano piena trasparenza in merito al ruolo delle organizzazioni di controllo, che hanno dato un certificato di buona salute per la sicurezza della fabbrica, e dei marchi che sono stati in grado di fare profitti a discapito della sicurezza dei lavoratori.”

In una risposta a una lettera della coalizione dei gruppi internazionali per i diritti dei lavoratori, SAI e SAAS hanno negato ogni responsabilità per l’incendio, opponendo un vincolo alla segretezza come ragione per la quale né loro né la società di revisione italiana, RINA, possono condividere tutte le informazioni di cui dispongono sulla fabbrica . Essi sostengono che sia RINA che SAAS stanno compiendo delle indagini, ma si rifiutano di condividere le loro informazioni con i rappresentanti dei lavoratori in Pakistan.

“I terribili eventi dell'11 settembre mettono in evidenza le debolezze del sistema di certificazione SAI, che ha gravemente deluso chi avrebbe dovuto proteggere”, ha detto Deborah Lucchetti della Clean Clothes Campaign italiana. “Se SAI vuole mantenere un minimo di credibilità deve far cadere il velo della segretezza dietro cui si è attualmente nascosta e iniziare a cooperare con quei soggetti che chiedono giustizia per le vittime dell’incendio alla Ali Enterprises”.

La Clean Clothes Campaign (CCC), il Worker Rights Consortium (WRC), il Maquila Solidarity Network (MSN) e l’International Labor Rights Forum (ILRF) hanno invitato tutti i buyers della fabbrica Ali Enterprises a farsi avanti e a garantire che le vittime del rogo siano pienamente ricompensate, che ai lavoratori vengano pagati i loro stipendi in questo periodo di chiusura della fabbrica, e che misure credibili vengano messe in campo per prevenire che una simile tragedia accada di nuovo. Finora, l'unica azienda che ha ammesso di rifornirsi dalla fabbrica, la KiK, lo ha fatto solo a fronte di prove pubbliche a testimonianza della relazione commerciale con l’azienda pakistana. Nessuno degli altri acquirenti è stato ancora identificato.

Dal 9 al 11 ottobre SAI sta tenendo una riunione del suo Advisory Board a Bologna. Gli attivisti chiedono che il Consiglio si impegni a cooperare con i gruppi di lavoro per garantire la giustizia per questi lavoratori, ad adottare misure per far luce sugli eventi che hanno portato a questa terribile tragedia e a contribuire a garantire che le vittime ottengano l'assistenza di cui hanno bisogno e meritano. Ciò include la pubblicazione delle relazioni degli audit e la comunicazione di informazioni sui buyers dalla fabbrica.

Consiglio di lettura sull'argomento:

I vestiti nuovi del consumatore di Deborah Lucchetti, Altreconomia euro 4,50

Guida ai vestiti solidali, biologici, recuperati: per conciliare estetica ed etica nel proprio guardaroba

È l’ora del cambio di stagione. Questo libro è un prezioso vademecum per rinnovare il guardaroba, coniugando lo stile con il rispetto per l’ambiente e le persone. Una trama che prima svela l’iniquo sistema delle multinazionali tessili e poi spiega i criteri per fare la rivoluzione nel proprio armadio. Per passare dal dire all’indossare trovate qui indirizzi di 100 realtà -produttori, negozi e siti web- con abiti e accessori equi e solidali, biologici e naturali, riciclati o riusati in modo creativo. CLICCA QUI PER ACQUISTARE

Levi's Waste Less: jeans dalle bottiglie di plastica riciclate

Il mondo della moda e dell'abbigliamento sembra iniziare a compiere dei passi importanti per quanto concerne il rispetto dell'ambiente, anche dal punto di vista delle grandi aziende. Un nuovo esempio è giunto negli scorsi giorni da parte di Levi's, marchio di abbigliamento ben noto per la produzione di tessuto in denim e jeans. Levi's fin dal 2008 ha deciso di vietare l'utilizzo di cotone proveniente dall'Uzbekistan in ognuna delle proprie linee produttive, evitando in questo modo di attingere per le proprie materie prime alla zona del mondo maggiormente sfruttata per quanto riguarda la produzione del cotone, che richiede, nella modalità convenzionale non biologica, che è la più diffusa, un largo impiego di pesticidi. In Uzbekistan all'impiego di sostanza chimiche inquinanti per la coltivazione di cotone si uniscono gli esigui salari destinati ai lavoratori e lo sfruttamento minorile. E' anche a causa delle problematiche legate alla produzione di cotone a livello mondiale che l'azienda ha deciso di ricorrere ad una materia di partenza alternativa per la produzione dei propri jeans. Si tratta della plastica riciclata, dalla quale è possibile ricavare una fibra sintetica adatta ad essere utilizzata nell'ambito dell'abbigliamento. E' nata in questo modo la linea Waste Less di Levi's, che comprende jeans e giacche in denim, la cui composizione è costituita per almeno il 20% da materiale riciclato.
Il nuovo materiale impiegato non compromette la morbidezza dei tessuti o la vestibilità degli abiti e contribuisce a veicolare un messaggio positivo di attenzione all'ambiente e di rispetto per l'ecosistema. Recuperare la plastica per realizzare dei tessuti significa alleggerire il loro accumulo nelle discariche o negli inceneritori, quando essi non possono essere riciclati in altro modo. Dal riciclo di bottiglie e di vassoi di plastica è stata ottenuta una fibra in poliestere. Essa viene unita alle fibre in cotone per ricavare un filato adatto ad essere utilizzato per la realizzazione degli indumenti. Tra i modelli interessati dalla novità, che arriverà nei negozi a partire da gennaio 2013, vi sono i jeans da uomo del modello Levi's 511 Skinny e i jeans da donna denominati Levi's Boyfriend Skinny. Della nuova linea farà parte anche la giacca del modello Trucker Jacket. La stessa azienda è fin da ora coinvolta in una campagna promozionale volta a sensibilizzare i consumatori contro gli sprechi legati al mondo dell'abbigliamento. Non tutti hanno infatti la sensibilità di riutilizzare il materiale proveniente dai vecchi jeans che ormai non vengono più indossati da anni per realizzare indumenti o accessori, e non tutti sono soliti regalare o donare in beneficenza i propri vecchi abiti, che vengono così gettati con noncuranza tra i rifiuti.
Ecco allora che per qualcuno di voi potrebbe essere utile sapere che per ogni vecchio paio di jeans riconsegnato nei negozi di abbigliamento inclusi tra i rivenditori autorizzati Levi's sarà riconosciuto un buono sconto di 25 euro per l'acquisto di un nuovo paio di jeans di questo marchio. La campagna per la rottamazione dei jeans ha preso il via il 22 ottobre e chiuderà il prossimo 22 novembre. Per saperne di più clicca qui

26/10/12

Le bustine di te' sono davvero compostabili?

Ci siamo mai chiesti da quali materiali sono composte le bustine di tè e se esse sono davvero completamente compostabili? La risposta potrebbe essere molto meno ovvia rispetto a quanto ci aspettiamo. Le bustine di tè possono essere avvolte in involucri cartacei, da destinare alla raccolta differenziata, ma allo stesso tempo possono contenere inaspettate materie plastiche. Le foglie di tè al loro interno, una volta preparato l'infuso che desideriamo, possono essere gettate nel bidone dell'umido o nella compostiera, oppure riutilizzate creativamente in caso di necessità, come vi avevamo spiegato in un articolo riguardante gli usi alternativi del tè (avanzi di bevanda, bustine e foglie comprese).
Le reali difficoltà sorgono al momento di doversi occupare di smaltire la bustina vera e propria. Le bustine di tè sembrano, all'apparenza, composte unicamente di tessuto, ma in molte di esse possono essere presente delle materie plastiche, come è emerso a seguito di un sondaggio condotto da parte della rivista britannica "Which? Gardening" nel 2010. Da esso è emerso come la maggior parte delle bustine di tè contengano delle materie plastiche, con particolare riferimento al polipropilene (denominato anche come polypropylene), un componente termoplastico spesso utilizzato nella produzione delle bustine di tè. Come avviene dunque la loro realizzazione industriale e quali materiali vengono impiegati? Le bustine di tè vengono prodotte solitamente utilizzando fibra di canapa naturale (Canapa di Manila), alla quale vengono unite delle fibre termoplastiche, come il polipropilene, che sono ritenute necessarie al fine di sigillare il tutto. Le bustine di tè appaiono in questo modo molto resistenti. Dall'unione dei due materiali si ottiene il tessuto che noi conosciamo, molto resistente e ricco di forellini adatti a permettere il contatto tra l'acqua bollente e le foglie di tè, senza che queste ultime possano fuoriuscire dal proprio involucro. I bordi delle bustine vengono in seguito sigillati termicamente. Con il calore, i materiali termoplastici utilizzati si sciolgono, permettendo che esse risultino ben sigillate. I dubbi sulla reale compostabilità delle bustine di tè sono sorti tra diversi lettori della rivista "Which? Gardening" che si sono resi conto di come, una volta sistemate le bustine consumate all'interno dei contenitori per il compost domestico, esse sembravano non scomparire mai completamente tra gli scarti alimentari accumulati. Questo proprio per la presenza al loro interno di materiali termoplastici non biodegradabili.
Interrogata dalla rivista, Whitney Kakos, manager di Teadirect, ha confermato che le bustine di tè della propria azienda sono compostabili solo al 70% e che l'utilizzo di polipropilene è una pratica largamente diffusa tra le aziende di produzione del tè. Il suggerimento di alcune aziende britanniche consiste nel gettare comunque le bustine di tè nel compost e di prelevarle al momento del suo utilizzo, se alcune parti di esse fossero ancora visibili. Secondo tali case produttrici di tè, infatti, pur contenendo materie termoplastiche, le bustine in questione devono essere considerate come completamente compostabili e biodegradabili. Dall'indagine britannica è emerso come anche gran parte delle bustine di tè biologico o proveniente dal commercio equo e solidale contengano materie termoplastiche impiegate nel processo della loro fabbricazione. Oltre al grado di compostabilità delle bustine di tè, la nostra preoccupazione riguarda il contatto tra materie plastiche ed alimenti. Secondo alcuni studi condotti nel 2008, il polipropilene potrebbe provocare il rilascio di BPA, ormai noto interferente endocrino considerato potenzialmente in grado di provocare problemi relativi ad infertilità e corretto sviluppo fisiologico del feto e del neonato.
Quale potrebbe essere dunque la soluzione per evitare di acquistare bustine di tè completamente prive di polipropilene? Ci si potrebbe informare presso le aziende produttrici, sperando nella loro sincerità e chiedendo loro con quali metodi di fabbricazione vengano composte le bustine di tè in vendita. Alcune di esse, specie quelle che presentano una chiusura effettuata con un etichetta cartacea o con un punto metallico, senza altri tipi di saldatura, potrebbero essere prive di polipropilene. Si potrebbe anche decidere di non acquistare del tè in bustine, ma unicamente del tè sfuso, confezionato in contenitori completamente biodegradabili, oppure facilmente riutilizzabili. Una volta acquistato del tè sfuso, sarà sufficiente munirsi di un colino o di altri appositi contenitori forati, per la preparazione della bevanda. Infine, si potrebbe decidere di preparare da sé le proprie bustine di tè partendo dalle foglie sfuse e da garzine bucherellate o tessuti leggeri come quelli utilizzati per le bomboniere, da impiegare per avvolgere le foglie di tè e da chiudere utilizzando del filo di cotone.

25/10/12

In Inghilterra arriva il semaforo sull'etichetta: i nuovi simboli aiuterranno i consumatori a fare scelte più sane

L’Inghilterra ha deciso che dal prossimo anno sulle etichette dei prodotti alimentari ci dovrà essere un semaforo per consentire ai consumatori di fare scelte più consapevoli e rapide. Il dipartimento della salute del governo britannico, dopo aver discusso con i rappresentanti dei produttori e delle catene di supermercati, ha invitato la GDO, entro la prima metà del 2013, ad utilizzare i colori del semaforo per le indicazioni nutrizionali. Il sistema scelto è una forma ibrida, perché oltre al colore rosso, giallo o verde, devono essere indicate anche le quantità giornaliere consigliate. C'è di più, le porzioni dovranno indicare il valore di calorie e di nutrienti riferiti al fabbisogno giornaliero oltre alle quantità assolute di ciascun ingrediente. Per alcuni prodotti accanto ai numeri sono previste parole come "alto", "medio" e "basso" per segnalare in modo intuitivo se un cibo è ricco di grassi e sale. Da anni in Gran Bretagna si discute di etichettatura degli alimenti e della necessità di aiutare i consumatori a compiere scelte più consapevoli per diminuire la quantità di grassi, sale e zuccheri. Alcune aziende di distribuzione come Tesco e Sainsbury's (vedi foto a destra) hanno già adottato sistemi analoghi a quello dei semafori, imitate da numerose catene di ristoranti (soprattutto nei grandi gruppi alberghieri). Ma l'iniziativa, ancorché sostenuta dai diversi governi negli ultimi anni, finora era stata lasciata alla discrezione delle aziende, con risultati poco soddisfacenti.
Per questo motivo, seguendo le norme consigliate specificamente dal National Health Service, si è deciso di passare a un'indicazione ufficiale unica, per rendere omogenea la raffigurazione delle qualità nutrizionali. Anche le catene di hard discount come Lidl, Aldi e Morrisons, che in un primo momento avevano rifiutato la proposta, adesso aderiscono alle nuove norme. Resiste, ma probabilmente per poco, la catena Iceland, che dovrà comunque mettere in vendita sempre più prodotti con il semaforo, se non vuole vedere i suoi scaffali via via svuotarsi. L'iniziativa è stata salutata con entusiasmo da Charlie Powell, direttore della Children's Food Campaign, che ha commentato così la decisione: «Finalmente non bisognerà più essere dei geni della matematica per scegliere cibi più sani».
Anche Anna Soubry, Ministro della salute, è intervenuta spiegando che: «la Gran Bretagna detiene già il primato europeo per numero di alimenti che riportano, sulla facciata principale, un'etichetta nutrizionale, ma molte ricerche hanno mostrato che ciononostante il consumatore si sente spesso confuso quando prova a leggere scritte troppo specialistiche, e fatica a capire quanto indicato, anche perché trova un gran numero di etichette troppo diverse tra loro. Speriamo che d’ora in avanti il sistema sia più chiaro e che tutti riescano a capire che cosa c'è dentro le confezioni. Questo contribuirà alla lotta contro l'obesità, che ci costa ogni anno miliardi di sterline e potrebbe essere validamente contrastata anche con piccoli gesti quotidiani come una scelta più oculata al supermercato».

21/10/12

La Nuova Pagina: La TV Degli ANIMALI

Da oggi iniziamo una nuova pagina (in alto a sx) chiamata: La TV degli ANIMALI dove aggiungeremo pian piano una raccolta di video sugli animali, sulle condizioni di vita etc. presi per la maggior parte dalla raccolta video di TV ANIMALISTA Sono documentari, inchieste e molto altro, piuttosto interessanti e sulle quali riflettere! Questa idea ci è venuta dal momento che stiamo leggendo un libro che ci ha colpito in modo particolare: Vegan si nasce o si diventa? (Clicca QUI per vederlo ed eventualmente acquistarlo) * Ne Consiglio assolutamente la lettura! Buona Visione!

19/10/12

Feltrinelli e le borse in cotone Fairtrade

Anche Librerie Feltrinelli aderisce alla campagna di promozione del commercio equo certificato “Spesa Giusta” promossa da Fairtrade Italia. In tutti i punti vendita Feltrinelli del territorio nazionale si potranno trovare le nuove borse in cotone certificato Fairtrade dai forti messaggi: “Eco generation”, “Equo. Se non ora quando” e “Il razzismo è una brutta storia”. Le borse arrivano in Italia attraverso l’importatore italiano Altraqualità. Grazie all’appartenenza al circuito Fairtrade i produttori di cotone hanno ricevuto un prezzo equo e stabile per il loro lavoro e un margine di guadagno aggiuntivo da investire in progetti di sviluppo a favore delle comunità. Inoltre si organizzano in gruppi più ampi e stabiliscono relazioni commerciali di lungo periodo.

16/10/12

Alce Nero Caffè, La sostenibilità a Bologna!


Vi segnaliamo a Bologna l’Alce Nero Caffè Bio che è sia negozio che caffè e ristorante biologico, dove potrete trovare menù bio a cominciare dalla colazione, a pranzo, aperitivo e brunch, oltre che una vasta gamma di  prodotti biologici da acquistare.
L’ Alce Nero è certificato certificazione “Spreco Zero” di Last Minute Market, spin-off dell’Università di Bologna grazie alle politiche messe in atto per la tutela dell’ambiente ed il risparmio energetico: differenziazione dei rifiuti, riduzione di sprechi e  completo utilizzo del cibo con anche recupero degli alimenti in eccedenza, ceduti gratuitamente alla mensa di Santa Cecilia a Bologna.
ALCE NERO CAFFE BIO
ALCE NERO CAFFE BIO
Per maggiori informazioni e prenotazioni:
Alce Nero – Caffè BIO
  • Via Petroni 9/b
  • 40126 Bologna
  • 0512759196

15/10/12

EcoATM: il bancomat che dispensa denaro in cambio dei vecchi cellulari


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Smaltire il cellulare e guadagnarci. È possibile grazie a EcoATM il primo e unico bancomat automatico che, utilizzando elettronica, tecnologie avanzate e intelligenza artificiale, valuta gratuitamente tutti i vecchi dispositivi elettronici, che i consumatori possono inserire al suo interno ricevendo in cambio denaro.
Da quando ve ne abbiamo parlato la prima volta, il dispositivo amico dell'ambiente (e delle tasche dei consumatori) ha fatto passi da gigante. Attualmente, infatti, è in grado di riconoscere oltre 4.000 diversi device e classificarli in base a 8 diverse condizioni. Il tutto in maniera semplice e in pochi minuti. Una volta riconosciuto il modello l'EcoATM fornisce un connettore per collegare il dispositivo e ricavarne tutte le informazioni utili a formulare l'offerta. A questo punto il consumatore può decidere se accettarla o meno.
Per non trasformare l'EcoATM in una sorta di "ricettatore robotico", inoltre, viene richiesto anche di inserire documenti personali e l'impronta digitale del pollice. Con oltre 150 bancomat installati in giro per gli Stati Uniti e l'intenzione di farli diventare 300 entro la fine del 2012, EcoATM sfrutta l'uscita del nuovo gioiello Apple, l'iPhone5, per puntare i riflettori sui RAEE e sensibilizzare i consumatori sul loro corretto smaltimento, pagando i modelli più recenti fino a 300 dollari e donando la consapevolezza che i materiali verranno riciclati o smaltiti in modo responsabile.
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"Ci saranno milioni di persone che comprano il nuovo iPhone 5 -aveva detto infatti Tom Tullie, presidente e amministratore delegato di ecoATM in una nota - Quando lo faranno, noi vogliamo che ci sia vicino un EcoATM per raccogliere o riciclare i loro vecchi telefoni".  Insomma, non c'è più bisogno di lasciare chiusi nei cassetti i vecchi device, che possono anche valere soldi contanti. L'ambiente e le tasche degli americani ringraziano.

11/10/12

Illuminazione: quando inizierà finalmente la rivoluzione dei LED?


LED Illuminazione: quando inizierà finalmente la rivoluzione dei LED?Volenti o nolenti, quando una lampadina si fulmina siamo ormai tutti obbligati a sostituire le vecchie lampadine a incandescenza fuori commercio con le lampade a risparmio energetico. Queste, a fronte di un costo leggermente più alto, sono mene energivore (fino al 70% in meno per i costi di illuminazione) e durano più a lungo. In effetti, per le lampade che si tengono accese più a lungo converrebbe una sostituzione immediata, anche senza attendere che la vecchia lampadina si bruci.
Tra le lampade a risparmio energetico vi sono quelle allo xenon (che si suddividono nella versione simile alle alogene e in quella “a incandescenza migliorata”, con ottima dura grazie a un apposito rivestimento a infrarossi) e le CFL (fluorescenti compatte, dall’involucro opaco e con una durata fino a 15000 ore).
E poi ci sono i LED (diodi a emissione luminosa), dei cui vantaggi abbiamo parlato qui e che si possono riassumere rapidamente così: i LED sono duraturi, non scaldano, sono resistenti ed efficienti; inoltre non contengono mercurio.
Ogni logica farebbe pensare che i LED dovrebbero presto sostituire ogni altro tipo di lampada, poiché, a parità di illuminazione resa permettono di risparmiare una percentuale tra il 50 e il 70% di energia elettrica. Se fossero adottate dovunque i risparmi sarebbero cospicui per tutti i livelli della società: privato e pubblico. Basti pensare che la Cina ha in programma di impiegare in futuro ben un milione di operai nell’industria dei LED e ha già stabilito che più di 20 città potranno essere illuminate soltanto in questo modo.