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01/12/11

Sacchetti di plastica e biodegradabili: la situazione in Italia dopo un anno,


A circa un anno dal divieto di commercializzazione dei saccheti di plastica, qual’è la situazione in Italia? Secondo proiezioni basate sui dati della grande distribuzione emerge in linea di massima che, nell’arco di poco tempo, il numero di sacchetti distribuiti nei supermercati (quelli bio sommati alle sporte più rigide) risulti dimezzato rispetto a prima, con i consumatori orientati sempre più sulle borse di materiali più consistenti da riutilizzare più volte. Un successo, soprattutto per l’ambiente, ma anche per diverse grandi catene di ipermercati e supermercati che, grazie al loro impegno massiccio (e tutto sommato omogeneo), hanno permesso di anticipare le scelte della UE e degli altri Paesi della comunità sul tema.
Una mossa, quella dei grandi gruppi della GDO, non proprio casuale: è vero infatti che la legge imponeva in ogni caso il divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica, ma giocando d’anticipo molte catene hanno potuto mostrarsi – rispetto ai concorrenti – più attente all’ambiente, strizzando così un occhio a tutti quei consumatori più attenti su certe tematiche.

La laguna di Venezia illuminata dalle onde:


Tre prototipi per ricavare energia dal moto dell'acqua e alimentare boe, moli, imbarcaderi e briccole

La centrale Wem (da Agire)La centrale Wem (da Agire)
MILANO – E luce fu. Dalle onde. Già, perché l’energia per illuminare i moli, i porticcioli, le briccole e le zone protette della laguna veneziana potrebbe arrivare proprio dal mare e dal suo moto ondoso. Lo stesso sta capitando in Scozia o in Irlanda del Nord, dove le città della costa potrebbero essere presto illuminate grazie a turbine marine. Crescono, dunque, in Italia e all’estero, i progetti che trasformano il movimento dell’acqua sulla superficie del mare in una fonte rinnovabile.
BREVETTI ITALIANI - A Rimini alla fiera Ecomondo, Agire (Agenzia veneziana energia), ha presentato il lavoro portato avanti in quest’ultimo anni. «Siamo partiti da una ricerca sulle installazioni realizzate a livello nazionale e internazionale, che utilizzano le onde per produrre energia elettrica, o idrogeno a basso costo, o acqua desalinizzata senza emissioni di CO2», spiega a Corriere.it l’architetto Alessandra Vivona, direttore di Agire, che ha lavorato al progetto insieme all’ingegnere Luigi Faggian. Secondo passo è stato individuare i brevetti italiani più adatti per i marchingegni da mettere in acqua. Il primo è Giant, generatore che sfrutta il principio di Archimede. «Nel tempo che intercorre tra due picchi dell'onda, il galleggiante si muove dalla massima altezza al livello zero del mare per risalire al punto più alto producendo così energia», sostiene Vivona. Poi, è stato scelto il Wem (Wave Energy Module), sistema modulare composto da una struttura centrale di acciaio contenente all’interno un generatore elettrico, cui sono collegati gallegggianti tramite bracci. Questi ultimi, nella fase discendente dell’onda, trasferiscono la loro energia a un dispositivo interno alla struttura centrale che trasmette a sua volta gli impulsi a un generatore rotante tradizionale, producendo così energia elettrica.
PROTOTIPI ALLA GIUDECCA - «Abbiamo previsto di installare due prototipi in mare aperto e uno in laguna». E se la messa a punto dell’apparecchio in laguna, nel canale della Giudecca, è stata avviata in agosto e quella in mare deve ancora iniziare, «in entrambi i casi, superata la fase di test, ora dobbiamo capire quanta energia producono». Le aspettative? «Circa 12 mila kWh all’anno per il Giant e circa 35 mila kWh all’anno per il Wem», assicura Vivona. Che aggiunge: «Gli apparecchi non creano alcun problema all’ecosistema e tanto meno sono fonte di campi magnetici. Unico intervento “invasivo” sarà un cavo per portare l’energia a terra, ma per l’illuminazione delle boe e dei moli sfrutteremo i cavi già presenti». Il tutto con la consapevolezza di «utilizzare una fonte rinnovabile e pulita che è presente sul luogo». D’accordo anche l’assessore del Comune di Venezia all’ambiente Gianfranco Bettin. «Crediamo molto in questo nuovo sistema, per ora unico al mondo e mai sperimentato prima. Da sempre i veneziani hanno avuto la capacità di adattarsi al mare e adattare il mare alle proprie esigenze. Oggi noi lo facciamo portando avanti politiche per il risparmio energetico e la sostenibilità ambientale».
TURBINE SCOZZESI - Dalla laguna veneziana si passa agli oceani. Anche qui la corsa all’onda è già iniziata. Tante le big companies che, fiutato l’affare, si sono date da fare per non rimanere indietro. Ultimo esempio è Siemens, che ha aumentato al 45 per cento la quota di partecipazione nella società britannica Marine Current Turbines. In questo caso le turbine marine progettate sono fissate su una struttura e azionate dal flusso delle maree, con una tecnologia che potrebbe essere paragonata a quella di una turbina eolica sottomarina. Il vantaggio qui consiste nel fatto che l’energia generata è prevedibile in base al ciclo della marea. «Stiamo concentrando i nostri sforzi per attivare il processo di commercializzazione di questi innovativi impianti», ha dichiarato Micheal Axmann di Siemens.
PREVISIONI - Un bell’affare, dato che entro il 2020 gli analisti prevedono per questo mercato un tasso di crescita a doppia cifra con un potenziale mondiale di produzione energetica equivalente a circa 800 terawatt-ora (TWh) annui, pari circa al 25 per cento della domanda di energia complessiva della Germania e al 3-4 per cento del consumo energetico mondiale. Marine Current Turbines ha dunque manifestato l’intenzione di presentare a breve il progetto Kyle Rhea da 8 megawatt in Scozia e il progetto Anglesey Skerries, da 10 MW in Galles. Il governo inglese, inoltre, il 20 ottobre ha dichiarato di sostenere i progetti della compagnia attribuendo cinque «certificati verdi». Infine è già stata ottenuta l’approvazione per un contratto di locazione che consente la costruzione di un parco di turbine marine con una capacità combinata di 100 MW al largo di Brough Ness, la punta meridionale delle isole Orcadi.

La centrale a Biogas che sfida anche la criminalità:


L'impiego dell'energia termica per alimentare una serra in una zona ad alta infiltrazione della malavita

L'impianto di Borgo BainsizzaL'impianto di Borgo Bainsizza
MILANO - Per fare il fiore ci vuole il mais: succede nel nuovo impianto a biogas di Borgo Bainsizza, in provincia di Latina, realizzato da Esco Lazio e Azzero CO2, società di consulenza ambientale (il team è composto da Legambiente, Kyoto Club e l'istituto di ricerca Ambiente Italia). Già, perché l'energia termica prodotta dallo stabilimento – 8 milioni di kilowattora l'anno, con 7 mila tonnellate di anidride carbonica non emesse – riscalderà la vicina serra della Selecta, che si estende su una superficie di circa sette ettari. La riduzione di particolato renderà l'atmosfera più respirabile: il vivaio, infatti, finora è stato alimentato da caldaie a olio a basso tenore di zolfo, molto inquinanti.
IMPIANTO - La tecnologia a basso impatto coprirà un terzo del fabbisogno termico, contribuendo a migliorare la qualità dell'aria. Altro vantaggio: il reattore, dalla potenza di un megawatt, metterà in rete 7 milioni e mezzo di kilowattora elettrici, tagliando le emissioni di CO2 di 4.500 tonnellate l'anno. Il progetto, tecnologia tedesca e know-how italiano, si è concluso in tre anni. La fase successiva prevede un netto ampliamento, per aumentare la sostenibilità della serra e avviare la digestione anaerobica della sansa derivata dalla spremitura delle olive. Il ciclo si chiuderà con il recupero degli scarti agricoli: «Le norme attuali ancora non lo consentono», spiega Mario Gamberale, amministratore delegato di Azzero CO2, «ma confidiamo nell'intervento dell'amministrazione provinciale. Con misure adeguate, si potrà creare un indotto per il riciclo dei residui organici, che ora sono inutilizzati o smaltiti in modo inadeguato».
VALORE SIMBOLICO - Caso di eccellenza, non solo per lagreen economy: l'iniziativa ha anche un forte valore simbolico, in una zona ad alto tasso di infiltrazioni mafiose. «Impresa pulita per due motivi. Primo, perché a Borgo Bainsizza si è puntato sulla filiera corta e sul reimpiego dell'energia termica per alimentare la serra», sottolinea Francesco Ferrante, vice presidente di Kyoto Club. Il secondo è di carattere etico: «Investire sulle rinnovabili in un territorio con forti pressioni della criminalità organizzata è un segnale positivo». Sul fronte della sensibilizzazione, Legambiente lancerà la campagna Recallnella provincia di Latina per coinvolgere il tessuto produttivo nel recupero dei residui agricoli, a cominciare dalla spremitura delle olive.

Bolivia, elettricità grazie ad un missionario italiano:


Il sogno ventennale di padre Serafino ora è realtà con il sostegno di Terna e di Cooperazione Internazionale

MILANO - Kami dista dall’Italia 10.460 chilometri. In linea d’aria. Arrampicato a 4 mila metri di altitudine sulle Ande boliviane, questo villaggio nel dipartimento di Cochabamba, è nel cuore del Paese più povero dell’America Latina. Qui, in Bolivia, è andato a morire il Che. E qui, a Kami, i minerosscavano la montagna e muoiono per estrarre briciole di tungsteno, che valeva 3 dollari al chilo finché era utilizzato per dare luce nelle lampadine e che vale 10 dollari da quando è impiegato dall’industria bellica. Un chilo di pasta, a Kami, costa 5 dollari.
Kami, la missione dell'energiaKami, la missione dell'energia    Kami, la missione dell'energia    Kami, la missione dell'energia    Kami, la missione dell'energia    Kami, la missione dell'energia
UTOPIA - Anche se il Che qui non è mai arrivato, un salesiano piemontese, padre Serafino, ha fatto sua l’utopia del Comandante: «Siamo realisti, vogliamo l’impossibile». Arrivato nel 1985 a Kami, su una Toyota guidata da padre Michelangelo, padre Serafino ha iniziato a sognare strade asfaltate, acquedotti, scuole, ospedali e viadotti. E, nel 1993, la ricostruzione di una vecchia centrale idroelettrica. Il sogno si è avverato. E oggi la centrale idroelettrica costruita nei primi del Novecento ma abbandonata nel 1978, grazie all’aiuto dei volontari di Coopi, organizzazione non governativa italiana di cooperazione internazionale e al supporto di Terna, che ha sostenuto negli anni il progetto, è diventata una centrale e una linea elettrica di 37 chilometri in un luogo davvero impossibile. Tra precipizi e case di lamiera è avvenuto un miracolo grazie alla cocciutaggine dei salesiani e alla loro missione.
LA STORIA - Grazie a tutti i volontari - geologi, elettricisti, tecnici, operai - che hanno creduto al loro sogno. Grazie al sostegno economico di un’azienda che alla fine dell’impresa ha scelto di raccontare con un libro e in una mostra tutta la storia della centrale di Kami. Energia è sviluppo è il titolo della mostra con raccolta fondi per progetti in Malawi ed Etiopia (dal 28 novembre al 7 gennaio 2012 allo Spazio Pwc Experience in via Monte Rosa 91 a Milano), dove vengono esposte le fotografie scattate da Daniele Tamagni e raccolte nel libro Kami, la missione dell’energia (Silvana Editoriale) che ricostruisce con immagini e testi il percorso che ha trasformato l’idea di padre Serafino in realtà, azzerando la distanza tra l’Italia e la Bolivia.
SOSTEGNO - «Cosa può aver convinto un’azienda che si trova a circa 10 mila chilometri di distanza da Kami e senza alcun interesse in Bolivia a scegliere proprio il nostro lavoro per farne un racconto sulla solidarietà?», si domanda padre Serafino, che ha dato a Kami una radio e una sala parto, un convitto e professori, vaccini per gli animali e un ospedale, ed è ormai più boliviano che piemontese. La risposa a questa domanda la dà l’amministratore delegato di Terna, Flavio Cattaneo: «L’idea di padre Serafino, di produrre e trasmettere energia elettrica non solo per l’uso locale, ma per distribuirla all’esterno della comunità ponendo le basi di un più esteso sviluppo sostenibile è una straordinaria intuizione di imprenditoria sociale. Che per realizzare l’idea occorresse una linea elettrica ha poi destato un particolare interesse tra alcuni nostri colleghi, volontari orgogliosi e determinati. Il risultato non poteva che essere raccontato».