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15/02/12

I supermercati contro lo spreco di energia:


Contenere i consumi di un'industria altamente energivora: banchi frigo chiusi, fotovoltaico e refrigerazione a CO2

La zona surgelati di un supermercatoLa zona surgelati di un supermercato
MILANO - Impianti all’avanguardia per limitare i consumi energetici nei punti vendita, logistica centralizzata per diminuire l’impatto del trasporto delle merci e nuove soluzioni per ridurre gli sprechi dei banchi frigo alimentari. Sono queste le strategie di politica ambientale, adottate dalla Grande distribuzione organizzata (Gdo) italiana per riuscire a contenere i costi e ad abbattere i livelli d’inquinamento dati dal funzionamento della rete dei loro supermercati. Azioni combinate, a partire dal ciclo della produzione fino alla vendita, messe in atto da Esselunga, Coop e Carrefour, che hanno portato negli ultimi anni i tre giganti del mercato italiano verso una virata verde e a riporre un’attenzione sempre maggiore per le sostenibilità dei loro centri.
COSTI E INVESTIMENTI - Un interesse e un processo inevitabile, secondo gli esperti dei Gdo, che, a partire dal 2000, si è tradotto in interventi concreti e studi mirati per cercare di ridurre gli sprechi nelle strutture di vendita, cercando di contenere i costi legati ai settori più dispendiosi come quelli energivori. «La refrigerazione alimentare», spiega Paolo Garavelli, direttore acquisti tecnici e spese generali di Carrefour Italia, «rappresenta ancora la parte più impegnativa, circa il 40%, nei costi di un supermercato. Poi c’è l’illuminazione, che rappresenta circa il 20% delle spese e, infine, la parte legata al riscaldamento e al condizionamento ambientale. Ed è principalmente su questi settori che stiamo cercando di intervenire. Noi, ad esempio, dal 2006 al 2012, abbiamo investito 31 milioni di euro per cercare di ridurre i consumi energetici». Una strategia fatta di pianificazioni e investimenti verso i risparmi futuri che, oltre alla Carrefour, vede coinvolti anche gli altri due gruppi, ossia la Coop e Esselunga. «Da anni», afferma Fortunato Della Guerra, direttore di Inres, Istituto di progettazione del sistema Coop, «abbiamo un centro di telecontrollo che ci permette di monitorare in maniera costante e ottimizzare i nostri consumi. A partire dal 2005, abbiamo fatto interventi non solo sui gruppi frigoriferi, ma anche investito sulle fonte rinnovabili, ad esempio il fotovoltaico che abbiamo installato sui tetti, i primi nel 2003 a Firenze, di una centinaia di punti vendita. Riuscendo a rendere, con 24 mila pannelli e un investimento da 11 milioni di euro fatto nel 2009, il magazzino di Prato totalmente autoalimentato».
BANCHI FRIGO ALIMENTARI – Molti gli sforzi fatti dalla Gdo italiana per cercare di mitigare il consumo della refrigerazione alimentare, come quelli fatti da Esselunga che, nei supermercati di ultima generazione, ha fatto installare centrali frigorifere a CO2 per annullare l’impatto dei fluidi sulla fascia dell’ozono. Utilizzati con successo anche in molti punti vendita di Carrefour e Coop per sostituire i liquidi refrigeranti, tra cui i clorofluorocarburi (Cfc), messi al bando come gas climalteranti altamente pericolosi e vietati, a partire dal 2010, dal protocollo di Montreal. «In Italia», afferma Garavelli di Carrefour, «siamo stati i primi a mettere nell’ipermercato di Burolo impianti al 100% a CO2, gli unici a clima freddo in transcritico. Si tratta di impianti che, a differenza dei circoli chiusi che lavorano su una sola temperatura, sono in grado di rifornire del necessario freddo a diverse temperature tutti i refrigeratori del supermercato. Lavorando sia sulla temperatura bassa che su quella normale».
REFRIGERAZIONE - Un dibattito, quello sulla refrigerazione alimentare, che vede coinvolti oltre ai fluidi impiegati per non inquinare, anche la chiusura dei banchi per non sprecare energia con la dispersione del freddo. Operazione già consolidata, in Italia, con l’applicazione di pannelli per chiudere i banchi dei surgelati. E che coinvolge anche altre nazioni europee, come ad esempio la Francia dove, nei giorni scorsi, è stato siglato un accordo tra la grande distribuzione transalpina e il governo per chiudere con porte dai doppi vetri i banchi frigo di tutti i punti vendita, riducendo in questa maniera i consumi energetici del 50%. «In Italia», auspica il direttore di Inres, «uno dei grandi passi sarà quello di chiudere oltre ai surgelati anche i banchi verticali, ossia quelli che ospitano i latticini e gli altri prodotti legati alla vendita d’impulso». «È normale», aggiunge Garavelli, «che all’inizio questa operazione comporterà anche un calo delle vendite, dato che si tratta di barriere fisiche. Per questo bisogna comunicare bene al consumatore le motivazioni per cui il banco viene chiuso».
ILLUMINAZIONE – «Per quanto riguarda le luci», dice Della Guerra, «molte aspettative future sono legate alla tecnologia Led. Non solo perché hanno una durata superiore rispetto alle lampadine di ultima generazione, ma richiedono anche costi manutentivi nettamente inferiori Tra l’altro, la luce dei Led si è rivelata molto utile per quella che, in gergo tecnico, viene chiamata illuminazione d’accento, utilizzata per il gioco dei chiaroscuri soprattutto nei reparti del fresco e dell’ortofrutta». Un settore, quello dell’illuminotecnica, in grado di generare, proprio per la sua ampia versatilità, soluzioni molto differenti. Per esempio, Esselunga con i punti vendita illuminati con tubi fluorescenti ad alta efficienza e a bassissimo contenuto di mercurio. Fondamentale, poi, per contenere i consumi anche i sistemi di accensione e spegnimento automatici delle luci dei negozi, adottate da diversi anni in tutti e i supermercati dei tre rappresentati italiani della grande distribuzione.
IMPIANTISTICA – Molte, anche le soluzioni che si stanno varando per abbassare i costi di riscaldamento e refrigerazione degli ambienti. Tra queste,la tecnologia del cool roof, speciale vernice che riflette i raggi del sole e genera calore a seconda delle stagioni, sperimentata con buoni risultati da Carrefour sul tetto del ipermercato di Assago (Milano). Adottate, poi, con successo da molti supermercati anche le caldaie a condensazione e il teleriscaldamento. «Si tratta», spiega Della Guerra di Coop, «di sistemi in cogenerazione o che sfruttano fonti geotermiche. Spesso, riusciamo a realizzarli in sinergia con le amministrazioni locali. Ad esempio a Faenza dove il sistema politico è riuscito a farci sfruttare il calore prodotto da una distilleria che dista 800 metri dal nostro supermercato che, altrimenti, sarebbe rimasto inutilizzato. A volte, invece, per i tempi tecnici siamo legati alla volontà delle amministrazioni locali, come a Piacenza dove tutto è già predisposto ma dobbiamo aspettare la volontà comunale per allacciare i nostri tubi alla rete locale».
TRASPORTI – Per salvare l’ambiente, infine, anche la centralizzazione dei trasporti, con piattaforme logistiche pensate per eliminare i lunghi viaggi delle merci, ottimizzare il carico dei camion e ridurre il flusso di traffico per contenere le emissioni di anidride carbonica, appare tra i passaggi chiave fondamentali. Con diversi sforzi, compiuti in questi anni per intervenire sul settore, a partire dalla centralizzazione dei generi per il rifornimento dei punti vendita. Tra i sistemi che sembrano funzionare quello messo a punto da Esselunga che, per controllare meglio i flussi logistici, ha diviso la distribuzione in tre grandi centri strategici. Uno alle porte di Milano, nei pressi di Linate, uno a Biandrate, in provincia di Novara, che è anche interamente alimentato da energia acquistata con certificati che finanziano la produzione da fonti rinnovabili (Recs), e infine quello di Sesto Fiorentino, alle porte di Firenze, dove arrivano tutti i prodotti da distribuire in tutti negozi e punti vendita collocati entro un raggio di 180 chilometri da ogni centro.

Utensili da cucina in legno di ginepro e di quercia: belli e super-ecologici,


Dopo aver parlato dei taglieri in materiale di riciclo, proseguiamo il discorso con altri bellissimi strumenti da cucina che piaceranno molto a chi si affaccenda ai fornelli e cucina per gli ospiti con un occhio attento al rispetto dell’ambiente.
Che ne dite ad esempio delle pinze per servire l’insalata prodotte con legno di quercia proveniente da foreste sostenibili? Sono utilizzabili anche per i cibi caldi. La finitura naturale a base olio di oliva ne sottolinea la venatura naturale: per mantenerle in buono stato, dopo un veloce lavaggio (mai lasciarle in ammollo!) in acqua saponata e l’asciugatura, conviene ungerle sempre leggermente per mantenerle in perfetto stato. Ovviamente, non possono andare in lavastoviglie.
Non meno eleganti queste spatole in legno di ginepro, utili in cucina quanto belle da vedersi in tavola. Il loro design è infatti molto ingegnoso e valorizza la bellezza naturale del legno di ginepro, dotato di proprietà antibatteriche naturali, estremamente liscio e dalle venature compatte. Tutte proprietà che lo rendono adatto all’utilizzo in cucina.
Anche per queste spatole vale la regola del lavaggio rapido in acqua saponata, seguito da asciugatura e massaggio con qualche goccia di olio di oliva quando il legno è perfettamente asciutto.

Nave Costa Concordia: oltre al carburante ecco cosa sta avvelenando il mare. L'inventario di greenpeace,


costa_concordia
Costa Concordia. Continuano le operazioni di recupero del carburante. Dopo lo stop dovuto alle avverse condizioni meteo, da domenica sono riprese le manovre che porteranno allo svuotamento dei serbatoi della nave, adagiata a due passi dalle coste dell'Isola del Giglio. Ma i carburanti non sono gli unici a minacciare il paradiso dell'arcipelago toscano. Numerose altresostanze rischiano di danneggiare irreparabilmente il delicato ecosistema marino.
Ftalatialchilfenoli (tensioattivi non ionici), composti a base di bromo e paraffine cloruratepotrebbero, nel corso degli anni, essere gradualmente rilasciate in mare e contaminare l'ambiente circostante. A denunciarlo è stata l'associazione ambientalista Greenpeace che ha realizzato un inventario - Toxic Costa -  delle pericolose sostanze che potrebbero liberarsi in mare dalla Costa Concordia.
rischi per l'ambiente connessi alla tragedia sono molti. E mentre dalla Global Conference on Land-Ocean Connections (Gloc), svoltasi a Manila, nelle Filippine, a fine gennaio, è emersa la necessità di accrescere l’impegno internazionale per la salvaguardia degli oceani, i nostri mari e i loro abitanti rischiano di finire nel baratro, nell'abisso senza ritorno dell'inquinamento.
Greenpeace è andata oltre rispetto alle elenco fornito un paio di settimane fa dalla Protezione civile, sulle sostanze presenti a bordo della Concordia, che quantificò così materiali e sostanze:
1.351 metri cubi di acque grigie e nere, 3.504 metri cubi di acqua di mare nelle casse zavorra, circa 41 metri cubi di oli lubrificanti, 10 bombole per un totale di 400 litri di ossigeno, 7 bombole per un totale di 280 litri di acetilene, 128 bombole per un totale di 5.120 litri azoto, 104 bombole per un totale di 3.929 litri di anidride carbonica, 600 chili di grassi per apparati meccanici, 354 chili di smalti densi, 855 litri di smalto liquido, 293 litri di pittura, 50 litri di insetticida liquido e 1,8 chili di insetticida gel, 123 litri induritore, 45 chili di mastice, 10 chili di impregnante, 1 tonnellata di ipoclorito di sodio, una stima di 2.040 metri cubi di fuel, una stima di 203 metri cubi di gasolio.
Ma secondo Greenpeace, alcune delle informazioni fornite sono superficiali. Ad esempio, l’uso di termini generici come "pitture e smalti" o "insetticida", stando a quanto spiegano gli ambientalisti, non permette di effettuare stime apprezzabili dei rischi per l’ambiente.
Si legge in una nota: "Molti composti organoclorurati sono persistenti e bioaccumulanti ovvero, una volta dispersi nell’ambiente, sono in grado di accumularsi in pesci e molluschi contaminando la catena alimentare fino all’uomo. Nel lungo periodo, l’esposizione a queste sostanze può comportare serie ripercussioni sulla salute, talora in maniera irreversibile (come nel caso di quei composti che sono accertati cancerogeni per l’uomo)".
Gli ambientalisti hanno classificato le sostanze presenti a bordo della nave, che potrebbero essere molto pericolose qualora si disperdessero in mare: ftalati, muschi artificiali, Bisfenolo A, Alchilfenoli, Paraffine clorurate a catena corta, Ritardanti di fiamma bromurati, Triclosan.
Un esempio per tutti è costituito dall'ipoclorito di sodio, la comune candeggina. La Concordia ne trasportava, secondo l’armatore, una tonnellata. Ebbene, tale sostanza, reagendo con gli acidi organici presenti in mare, può produrre sostanze pericolose come i trialometani, tossici per fegato e reni e in alcuni casi cancerogeni per l’uomo. Queste sono presenti in alcuni arredi non elencati dalla Costa: tappeti, tendaggi, tavoli, giochi, elettrodomestici, prodotti cosmetici e profumi, tutti ricchi dei suddetti composti chimici.
Nonostante siano stati i carburanti ad avere attirato maggiormente l’attenzione, non bisogna sottovalutare i seicento chili di grassi per apparati meccanici che, se dispersi in mare, "andrebbero a ricoprire il fondale marino con ripercussioni sulla vita animale e vegetale del bentos".
Gran parte di questi “additivi chimici”, secondo Greenpeace, non è molto solubile in acqua. Inoltre, qualora la nave dovesse spezzarsi o rimanere lungo in quella posizione, ftalati, alchilfenoli (tensioattivi non ionici), composti a base di bromo, paraffine clorurate potrebbero essere gradualmente rilasciate in mare e contaminare l’ambiente circostante. Il fenomeno, noto come lisciviazione, è un processo davvero imprevedibile, legato alle tipologie dei prodotti nonché alle quantità di additivi in essi presenti. Vi diamo qualche dato.
Ftalati. Sono usati in cavi, vernici e inchiostri, e sono tossici per il sistema riproduttivo dei mammiferi.
Alchilfenoli. Si trovano in shampoo, cosmetici e altri prodotti per l’igiene personale. Sono persistenti, bioaccumulabili e tossiche per gli organismi acquatici, e hanno la caratteristica di "imitare" gli ormoni estrogeni naturali.
Ritardanti di fiamma bromurati. Sono utilizzati per rendere ignifughi cavi elettrici, mobili ed elettrodomestici e interferiscono con lo sviluppo del sistema nervoso, sull’attività dell’ormone tiroideo e possono provocare effetti su crescita e sviluppo.
Bisfeonolo A. È un altro interferente endocrino, perché altera l'equilibrio ormonale dell'organismo. Tale sostanza è stata vietata dalla UE nei biberon.
Paraffine clorurate. Sono i composti usati in vernici, plastiche e gomme, anch'esse possono risultare cancerogene.
Vittoria Polidori, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace ha così commentato: "La tragedia della Costa poteva essere evitata se in dieci anni di Accordo internazionale sul Santuario dei Cetacei fossero state adottate regole specifiche per limitare il traffico marittimo in aree vulnerabili. Oltre a un decreto sulle rotte a rischio in discussione, adesso c'è un'occasione da non perdere, la convocazione del Tavolo tecnico promesso dalle regioni Liguria e Toscana entro il 29 febbraio per discutere di una gestione seria del Santuario. È ora che tutti, compreso il Governo, si assumano le proprie responsabilità".
Salvare il salvabile, e far sì che in futuro tragedie come quella della Concordia possano essere evitate.

Il video Chipolte contro gli allevamenti intensivi che ha rubato la scena ai Grammy Awards 2012:


chipoltle_video
Dopo aver rinchiuso i propri animali all’interno di orrendi capannoni grigi e sovrappopolati, dopo aver inquinato il mondo per consentire il trasporto delle loro carni e aver cementificato per realizzare le strade, un contadino si rende conto che tutto ciò è sbagliato e corre a liberare maiali, mucche e galline, che da quel momento in poi potranno scorrazzare su verdi prati. È questa, in breve, la storia raccontata dal suggestivo spot sugli allevamenti intensivi andato in onda ieri sera su FoxTV durante l'assegnazione dei Grammy Awards 2012.
Sarà per la simpatica animazione, per le note di The Scientist dei Coldplay, o per la rivisitazione in chiave country o per la voce graffiante di Willie Nelson, il video, diretto da John Kelly, ha catturato l’attenzione degli spettatori e dei media di tutto il mondo, tanto da rubare la scena agli Oscar della musica agli artisti internazionali. Così questo spot, che circolava già in rete da settembre, grazie alla visibilità di un evento come quello dei Grammy, ha ricevuto nel giro di qualche ora un grande successo, con migliaia di twitt a testimoniare le reazioni delle persone che lo hanno visto.
In realtà, si tratta di un cortometraggio che serve a raccogliere fondi per la Chipotle Coltivate Foundation, l’organizzazione non-profit istituita dalla catena di fast food Chipotle Mexican Grill, una sorta di McDonald che serve burrito e cibi caratteristici dello Stato del centro America, impegnata nella promozione di una filiera alimentare più sostenibile e salutare e nella sensibilizzazione sulle questioni alimentari. Per questo, la Fondazione sostiene le famiglie di agricoltori che stanno lavorando per sviluppare le pratiche più sostenibili, ma anche gli educatori e i programmi che insegnino alle generazioni più giovani come nutrirsi in modo sano.
Insomma, anche se si tratta della Fondazione di un poco eco-sostenibile fast food, anche se sappiamo che bisognerebbe incoraggiare la gente a mangiare meno carne e imparare a cucinare a casa, è bello vedere che una grande catena come Chipotle stia provando a impegnarsi nell'adozione di misure alternative alla produzione di carne negli allevamenti intensivi. Perché le grandi catene possono avere un ruolo importante nel convincere la gente a mangiare cibo migliore, più etico e sostenibile. Per dirla alla maniera dei Coldplay e di Nelson, “Nobody said it was easy  No one ever said it would be this hard Oh take me back to the start”, nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile, neanche che sarebbe stato così difficile, ma ricominciamo dal principio. Forse i maiali non saranno davvero così felici, ma la volontà di utilizzare solo ingredienti prodotti nel rispetto degli animali, dell’ambiente e del contadino ci sembra già un bel passo in avanti per un Fast food.

Ecco il primo traghetto ECOLOGICO:


Ricordiamo ancora tutti il tragico incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, eppure le navi non sono così pericolose, se messe nelle mani giuste! Però sono ancora uno dei mezzi di trasporto più inquinanti. A questo proporsito, i mari del Nord potranno finalmente vedere solcare le loro acque dal primo traghetto ecologico. Si chiama Saaristo ed è stato acquistato dalla Viking Line, la compagnia marittima finlandese che gestisce il traffico tra Finlandia, Svezia ed Estonia.
Dovremmo aspettare il 2013, per ora i lavori sono in pieno fermento nel cantiere Stk Yard di Turku, in Finlandia. Si tratta di un traghetto lungo 218 metri e pesante 57.000 tonnellate, capace di ospitare 2.800 passeggeri e di raggiungere la velocità di 22 nodi. Sarà il primo ad essere dotato di un motore “ecologico” che utilizzerà il gas naturale liquefatto, il gas più abbondante in natura e ritenuto il più pulito fra tutti i combustibili fossili.
La vera novità tuttavia è rappresentata da un sofisticato sistema di controllo energetico detto “energy management EMMA”. Questo software è stato messo a punto dalla società ABB e consente di monitorare il consumo di carburante impedendo che si verifichino sprechi inutili a danno dell’ambiente marino.
Attualmente è in uso da circa 60 grandi aziende impegnate attivamente nel campo della sostenibilità. Il sistema analizza l’attività del motore e fornisce in tempo reale su un display la stima delle condizioni ottimali in cui la  nave potrebbe operare al fine di ridurre ulteriormente i consumi.
Davvero un buon esempio di come si possa investire la ricerca tecnologica per una giusta causa.

Il corretto smaltimento dei toner usati:


toner esauriti sono particolari categorie di rifiuti che non possono essere assimilate ai comuni rifiuti solidi urbani.
Il loro trattamento può essere eseguito esclusivamente da parte di soggetti autorizzati ed il cittadino privato deve provvedere a conferire questi rifiuti presso appositi centri di raccolta che li indirizzeranno verso il loro corretto smaltimento.

Lo smaltimento dei toner esauriti secondo la legge italiana

A livello italiano, tutti gli aspetti relativi allo smaltimento di toner, cartucce per stampanti laser e a getto d’inchiostro sono regolamentati dal D.Lgs. n. 152 del 2006. Questi rifiuti speciali devono essere smaltiti da operatori autorizzati che, in molti casi, riescono a rigenerare le cartucce allo scopo di rimetterle in commercio.
In questo modo si riduce la produzione dei rifiuti destinati alla discarica risparmiando, inoltre, sulle materie prime. Si calcola infatti che per produrre una cartuccia nuova siano necessari ben quattro litri e mezzo di petrolio. Nel caso le cartucce non potessero essere recuperate per intero, queste vengono ridotte in frammenti riciclando separatamente plastica e metalli.

Le modalità di raccolta dei toner usati

Per quanto riguarda la raccolta e il recupero di questi rifiuti speciali, è obbligatorio l’utilizzo dei cosiddetti “eco box”, ovvero imballi non pallettizzati dotati di coperchio e sigillo.
Questi contenitori sono realizzati in modo tale da impedire che liquidi e polveri si possano disperdere nell’ambiente. È frequente notare la presenza di eco box ad esempio all’interno di uffici e scuole: questi contenitori infatti sono di colore verde brillante. Gli eco box vanno collocati in luoghi asciutti e protetti dagli eventi atmosferici, ed in particolare dagli sbalzi di temperatura.
Quando si estrae dalla confezione un nuovo toner per sostituirne uno esaurito, quest’ultimo va avvolto nell’imballo di plastica e depositato nell’eco box. In questo contenitore possono anche essere conferiti i toner esauriti delle fotocopiatrici, con l’accortezza di avvolgerli in una busta di plastica per evitare che inchiostro o polvere possano disperdersi.
È bene inoltre ricordare che, per i possessori di partita IVA, è necessario essere in possesso delladocumentazione relativa allo smaltimento dei rifiuti esausti da stampa informatica fra i quali anche inkjet e nastri a impatto.

Liscio come l'olio: i lubrificanti usati sono una risorsa importante,


In 28 anni raccolte 4,7 milioni di tonnellate, l'88% sono state riciclate. Risparmiati 2,9 miliardi di euro

(da Coou)(da Coou)
MILANO - Per legge è un rifiuto pericoloso. L’olio lubrificante usato, eliminato in modo scorretto, è un potente agente inquinante: 4 chili versati in acqua inquinano una superficie grande quanto un campo di calcio. Correttamente raccolto, più dell’88 per cento è destinato alla rigenerazione. In 28 anni di attività, il Consorzio obbligatorio degli oli usati (Coou), primo ente ambientale nazionale dedicato alla raccolta differenziata (nato nel 1982, operativo dal 1984), ha raccolto oltre 4,7 milioni di tonnellate di olio lubrificante usato.
POTENTE INQUINANTE - Il presidente del consorzio, Paolo Tomasi, commenta: «Con quel quantitativo si poteva inquinare due volte l’intero Mediterraneo. E nel 2011 abbiamo raccolto 189.268 tonnellate. Sversato nel terreno, l’olio lubrificante, arriva in falda, quindi nell’acqua e nel ciclo biologico: per questa ragione è un rifiuto pericoloso. In acqua, una sola goccia, si diffonde creando una pellicola isolante che impedisce l’ossigenazione». «Oggi siamo molto avanti nella rigenerazione, ma la storia del nostro consorzio è antica. In effetti, i primi esperimenti sono degli anni Quaranta», spiega Tomasi, «quando un regio decreto, emanato per scarsità di materie prime, imponeva di recuperare l’olio. Allora veniva filtrato, e non era un granché, ma i primi esperimenti furono proprio quelli. Nasciamo da un principio autarchico».
RECUPERO - Gli oli usati sono ciò che si recupera alla fine del ciclo di vita dei lubrificanti. Una parte viene consumata nell'utilizzo, la restante è olio usato che, anche se nero e per un profano privo di qualsiasi appeal, è una risorsa economica oltre che ambientale: rigenerato, torna ad avere le stesse caratteristiche del lubrificante da cui deriva. Per l’88,6% dell’olio raccolto dal Coou è quello che accade, viene infatti classificato come idoneo alla rigenerazione. «In gran parte torna a essere olio. Oppure gasolio, oppure, ma solo la parte più bassa, bitume. Il 12% viene avviato alla combustione nei cementifici, perché contiene particelle di ferro che non lo rendono raffinabile, ma alla temperatura di 1.200-1.400 gradi anche quelle particelle vengono combuste e vanno ad arricchire il cemento. Solo una frazione molto piccola, perché irrimediabilmente inquinata, viene termodistrutta, ma si tratta del 4 per mille».
RISPARMI - «Il riutilizzo dell’olio in questi anni di attività ha prodotto 2,9 miliardi di euro, ovvero un risparmio sulle importazioni di petrolio di 2,9 miliardi di euro», spiega ancora Tomasi. Il procedimento avviene attraverso le 80 società che, distribuite su tutto il territorio italiano, raccolgono gratuitamente l’olio usato dalle officine e dalle industrie per consegnarlo alle raffinerie dove si stabilisce quale processo di riutilizzo avviare (numero verde 800 863 048 o Coou.it per informazioni sul raccoglitore più vicino). Il 50% degli oli derivano dall’autotrazione e il 50% dall’industria.
MANCA IL «FAI DA TE» - Il Consorzio ha cercato di valutare quanto olio mancasse all’appello, per raggiungere il 100% di riciclaggio, attraverso un’indagine dalla quale è emerso che alla raccolta sfugge una piccola parte dal settore industriale, dal «fai da te» in autotrazione, nautica e agricoltura. Ed è soprattutto sul «fai da te» che il Coou ha attivato la comunicazione, ad esempio con lo spot pubblicitario dello scorso anno dove la Nazionale di pallanuoto strapazza un automobilista che cerca di buttare l’olio usato della sua auto in un tombino, e anche attraverso messaggi educativi rivolti alle scuole, come il progetto ambientale Scuola Web Ambiente e la campagna educativa itinerante CircOLIamo, che promuove nelle scuole primarie e secondarie l’educazione ambientale e una corretta pratica dello smaltimento dell'olio lubrificante usato.