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23/02/12

Vecchie cabine telefoniche diventano mini-librerie per il book-sharing:


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Colpa dei sempre più annosi problemi economici o dell’avvento di internet, fatto sta che lalettura è in crisi. Ma l’alternativa che potrebbe risollevarne le sorti forse c’è: è la condivisione dei libri, il loro scambio, il baratto. È partendo proprio da qui che l’architetto John Locke ha realizzato un progetto a dir poco originale:  riutilizzare un elemento di arredo urbano ormai in disuso come le cabine telefoniche per farne delle mini librerie in cui ognuno può lasciare o prendere libri usati. Una sorta di book-sharing insomma per tentare di riqualifare le vecchie cabine.
A dirla tutta, quando la prima scaffalatura-telefonica, che fa parte del più ampio progetto di interventi urbanistici “Department of urban betterment (Dub), è stata installata su una cabina di New York, in una zona piuttosto isolata e poco frequentata, i libri sono scomparsi nel giro disei ore e il ripiano in compensato è stato rubato in appena dieci giorni. Ora, però, per contrastare questo fenomeno, Locke ha scelto una location molto più visibile, in prossimità di una fermata del treno espresso a Broadway, e ha dotato il dorso di ogni libro di un logo ben visibile.
Riusciranno in questo modo i libri a resistere? La nuova biblioteca non è stata vandalizzata e Locke è fiducioso: è proprio il logo che potrebbe favorire lo scambio di libri tra i passanti, dando vita a un sistema virtuoso ed egualitario di condivisione di questa preziosa risorsa stampata per tutta la città. Ci si augura che abbia ragione. Fatto sta che a New York il baratto va sempre più di moda. E dimostra di stimolare la fantasia: dopo il distributore automatico per lo swapping, ecco, infatti, arrivare questo nuovo modo di fare bookcrossing. Sempre all’insegna dello slogan “se ami i tuoi libri, lasciali andare”, ma non più su improbabili panchine o muretti: la condivisione si può svolgere in un luogo preciso e determinato, come una vecchia cabina.
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Chissà se questa idea potrebbe essere emulata anche in Italia. Probabilmente, no. E non solo per lo scarso senso di civiltà dimostrato spesso da alcuni cittadini nei confronti delle nostre povere e vecchie cabine telefoniche, quasi sempre vandalizzate. Ma soprattutto perché queste stanno pian piano scomparendo e, nell'era dei cellulari, degli smartphone e di internet, il loro destino sembra essere segnato. Soprattutto da quando una delibera dell'Agcom, pubblicata nella gazzetta ufficiale numero 77 del 2 gennaio 2010, ha autorizzato Telecom Italia arimuovere i telefoni pubblici 'in eccesso' e non più utilizzati. Ma come le cabine sono state soppiantate da cellulari e internet, per gli amanti del book-sharing è la rete a venire in aiuto con diversi siti dedicati al book-crossing. Perché se ami un libro..lascialo libero...

Borse e vestiti realizzati dal riciclo degli ombrelli delle strade di New York:



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Una linea di abiti e accessori ricavata interamente da vecchi ombrelli. Nata nel 1994 dalla creatività della famosa artista dell’upcycling Catherine Edouard Charlot, di Port-au-Prince, Haiti, fondatrice della Cfrat Lion Art, dopo il suo trasferimento a New York, la esuberante linea di abbigliamento e accessori, Himane Sustainable Designs, è realizzata interamente riciclando vecchi ombrelli gettati trovati per strada e destinati alle discariche.
Borse, borsoni, giacche e graziosi abitini da cocktail neri, hanno tutti la stessa caratteristica, ovvero il lavoro manuale, creativo, innovativo e allo stesso tempo elegante di Catherine, in aggiunta alla materia prima: ombrelli gettati via.
Con l’obiettivo di creare consapevolezza nell’apprezzare ciò che è realizzato con materiali di scarto, di dare nuova vita e valore ad un vecchio oggetto dimenticato, estendendone così la sua storia, il lavoro dell’artista non si limita ad utilizzare vecchi ombrelli ma accosta anche altri materiali provenienti da zone locali, quali ad esempio denim e tessuti in materiali naturali certificati.
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Ma da dove provengono le centinaia di ombrelli utilizzati dalla stilista? Niente di più facile “dalla strada” e più in particolare da quelle di New York, dopo un’uggiosa e lunga giornata di pioggia!
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Così  dopo aver raccolto ombrelli, inizia il faticoso processo di smontaggio, lavaggio, taglio e progettazione, per dar vita, non solo a borse all’ultimo grido, come quella da viaggio che sembra aver stampato una fantasia plaid rossa, e disponibile anche in altri colori, ma anche a simpatiche pochette create con materiali innovativi, come la divertente e funzionale borsettaClutch Yogy (nella foto di copertina), realizzata da un vecchio tappetino da yoga (lavato ovviamente!). Comoda e alla moda, la Clutch Yogy è fatta appositamente per potervi inserire tutti gli elementi essenziali, portafogli, occhiali da sole e rossetto, senza far nulla mancare alla vostra serata.
Oppure che dire dell’abito nero da cocktail decisamente chic e in realtà composto da vari scarti di ombrelli della grande mela?
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Proprio come afferma la stilista “ogni donna ha sempre bisogno di un abitino nero nel suo armadio. Le mie clienti amano il modello perché è così di classe, ed è davvero un pezzo unico”. Infatti anche se la linea è pressoché la stessa ciò che cambia è la provenienza del materiale.
Mentre se siete alla ricerca dell’abito da sposa dei vostri sogni, quale miglior investimento se non uno realizzato con ben 18 ombrelli bianchi?
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E per chi volesse dare uno sguardo più da vicino ai modelli e soprattutto ai prezzi, è possibile anche acquistare on-line sul sito himane.bigcartel.com/. Una percentuale su ogni acquisto sarà devoluta per la costruzione di una scuola sostenibile nel paese d’origine di Charlot ad Haiti. L’artista ha attualmente un appezzamento di terreno su cui costruire la sua scuola, ma non ha ancora raccolto abbastanza fondi per iniziare la costruzione.

Avon Cruelty free? No testa i cosmetici sugli animali in Cina e la Peta la elimina dalla lista:


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Nel 1989 Avon è stata la prima multinazionale produttrice di cosmetici a cessare definitivamente di compiere esperimenti sugli animali per provare la sicurezza dei prodotti. Avon non testa le sostanze sugli animali, né chiede a terzi di farlo per proprio conto”.  È questo ciò che si legge sul sito della famosa ditta di cosmetici. Ma è davvero così? Non secondo la PETA, che ha scoperto che la Avon ,insieme a Estée Lauder e Mary Kay, tutte e tre aziende che vengono inserite spesso nelle liste cruelty-free stanno comunque testando sugli animali in Cina.
Attualmente, infatti, il governo cinese richiede sperimentazione animale per i prodotti di bellezza venduti in nel proprio Paese. “Pur comprendendo che la Cina è un mercato enormespiega Peta- che queste aziende non sono disposte a ignorare, avevamo sperato che avrebbero comunque  agito per eliminare tale esigenza o spingere per sostituire i test sugli animali come condizione necessaria. Mary Kay aveva intrapreso i primi passi per lavorare con i funzionari in Cina, e, sotto nostra sollecitazione, ha promesso di continuare questo sforzo, ma Avon Estée Lauder sembrano aver assecondato del tutto i dolorosi est sugli animali senza obiezioni”.
Per questo, al di là delle loro dichiarazioni, sono state rimosse dalla “Don’t test list” dell’Associazione animalista d’oltreoceano: nessuno di queste società può avere l’etichettatura "cruelty free”. Allora che fare? Smettere di acquistare i loro prodotti di queste società è l’unico rimedio per non rendersi complici delle violenze che subiscono gli animali. Ma in realtà, per correggere davvero questo problema, la vera soluzione risiederebbe  nella formazione degli scienziati cinesi, come dichiara di fare la Peta: “sosteniamo finanziariamente gli sforzi dell'Institute for In Vitro Sciences (IIVS), che sta mettendo insieme un gruppo di esperti aziendali per iniziare dei corsi di formazione per gli scienziati in Cina sull'uso di metodi senza test animali che vengono utilizzati negli Stati Uniti, nell’Unione Europea e in gran parte del mondo".
Ma attenzione, la questione è delicata e complessa e orientarsi nel mondo delle certificazioni “cruelty-free”: la Avon,  così come molte altre aziende di cosmetici, dichiara solo che il “prodotto finito non è testato su animali”. Ciò non esclude che gli ingredienti con cui è composto il prodotto siano stati testati su animali e non dà  nessuna informazione specifica sui vari componenti.  
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L’unico modo pratico qui in Italia per capire se un prodotto è davvero cruelty free potrebbe essere, allora, quello di fare riferimento, al superamento, dietro accordo con LAV (Lega Anti Vivisezione),  dei controlli eseguiti da ICEA, riconoscibile dal logo con il coniglietto bianco. Le aziende certificate ICEA, e la Avon non lo è, non testano né il prodotto finito, né commissionano test su prodotto finito e ingredienti. E non usano nemmeno gli ingredienti testati dai produttori dopo l’anno di adesione a questa policy.

Amazon vende carne di balena. La campagna dell'EIA per dire basta! (video):


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Amazon.com ha contribuito al commercio di carne di balena e di prodotti alimentari contenenti derivati provenienti da specie ittiche in via d’estinzione mettendoli a disposizione degli acquirenti tra i generi alimentari in vendita tramite la sezione giapponese del proprio sito die-commerce. Animalisti provenienti da ogni parte del mondo hanno deciso di organizzare una campagna per fermare le vendite di prodotti ittici illegali, rivolta principalmente verso gli amministratori di Amazon.
Le indagini inerenti al caso sono state svolte dall’EIA (Environmental Investigation Agency), che ha accertato la messa in vendita da parte di Amazon di 147 prodotti contenenti carne proveniente da balene, delfini ed altri cetacei, tra cui le focene, gran parte dei quali inclusi negli elenchi delle specie in via d’estinzione. Nessuno probabilmente avrebbe mai pensato di trovare tra le pagine di uno dei maggiormente utilizzati negozi online carne di balena in scatola o essiccata, senza tralasciare lo spezzatino di balena.
Il direttore di Amazon è stato accusato di aver contribuito alla vendita di prodotti illegali. Lacaccia alle balene è stata decretata fuori legge dal 1986 in Paesi come la Russia, il Giappone, la Norvegia, la Corea e l’Islanda, ma l’attività dei cacciatori di frodo è purtroppo proseguita nel corso degli anni, sebbene la domanda ed il consumo di carne di balena, giustificato come parte di alcune tradizioni locali, siano fortunatamente calati nel tempo. Pare infine che le materie prime dei prodotti posti sotto accusa avessero provenienza islandese.
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L’EIA ha dimostrato la propria opposizione nei confronti di quanto accaduto chiedendo esplicitamente ad Amazon di eliminare dai propri scaffali virtuali e dal proprio magazzino i prodotti ritenuti illegali e di seguire con maggiore coerenza le norme contenute nel proprio stesso regolamento. Il presidente dell’agenzia investigativa, Allan Thorton, ha infatti dichiarato come Amazon abbia avvallato il commercio di carne di balena ed altri cetacei nonostante ciò sia contrario alle linee guida relative alle vendite effettuate tramite lo stesso negozio online. EIA chiede dunque al fondatore e presidente di Amazon, Jeff Bezos, di porre fine ad una simile ipocrisia.
Per rendere l’appello ancora più efficace, l’agenzia investigativa ha realizzato un video messaggio di sensibilizzazione al problema, incentrato sulla violenza e sulla crudeltà di una pratica venatoria che nella nostra epoca iper-civilizzata avrebbe dovuto ormai avere fine da tempo e che sta spingendo verso l’estinzione diverse specie ittiche già a rischio, della carne delle quali non vi è alcuna necessità di nutrirsi e la cui uccisione è purtroppo legata non soltanto all’attività dei cacciatori di frodo, ma anche alla più che consentita pesca del tonnocome recentemente denunciato da Greenpeace.
Al fine di osteggiare e di rendere noto l’operato di Amazon, l’EIA richiede agli animalisti e ad ogni persona sensibile al tema di aderire ad una campagna di sensibilizzazione da effettuarsi prevalentemente tramite i Social Network, condividendo il video sopracitato e la pagina webappositamente dedicata all’argomento, o inviando una e-mail di protesta indirizzata direttamente ai responsabili di Amazon.

In Francia i campi da tennis si ricavano dalle palline usate:


Arrivano segnali eco-positivi da una parte del mondo dello sport francese, che si è prestato a lanciare un messaggio all’insegna della sostenibilità ambientale (e non solo). Si tratta dell’iniziativa nota come “Opération Balle Jaune” (Operazione pallina gialla) inaugurata nel 2008 dalla Fédération Française de Tennis e sponsorizzata dall’azienda produttrice di palline da tennis Babolat.
L’idea di fondo è quella di presentare l’immagine di un tennis responsabile che possa fungere da esempio nella realizzazione di buone prassi.
Ma come? Partendo dal calcolo di una media di 14 milioni di palline che ogni anno finiscono nei rifiuti e considerando che ciascuna ha un ciclo di vita di massimo 2 anni, i promotori di questa operazione eco-friendly hanno pensato bene di recuperare le palline utilizzate. E sono riusciti a raccoglierne ben 900.000 solo nei primi mesi del 2011!
Il caucciù contenuto all’interno delle palline viene opportunamente riciclato ed impiegato come materiali per la realizzazione nuovi manti di copertura per palestre, campi da tennis e piste d’atletica.
Tale progetto presenta anche un risvolto sociale: si punta, infatti, a creare nuove strutture idonee per ospitare centri specializzati rivolti a bambini disabili o con problemi motori. Speriamo non sia la solita iniziativa di greenwashing… intanto godetevi lo spot dell’iniziativa qui sotto:

Un albero per ogni bébé: idea eco-friendly in Emilia,


Salutare il miracolo della vita che si ripete ad ogni nuova nascita piantando un albero:  è questa la bella iniziativa che ha coinvolto 74 comuni emiliano – romagnoli nel corso del 2011.
Il risultato? 1400 gli alberi messi a dimora nella sola Bologna, 1800 a Modena, 1100 nel reggiano e ben 2000 a Ravenna.
Che il fiocco fosse rosa o azzurro, ogni nascituro è venuto al mondo portando con sé l’auspicio di un futuro migliore, nel segno del rispetto per la natura e per l’ambiente. E il risultato è straordinario se si pensa che in questo modo si è dato vita a un bosco diffuso di oltre diecimila piante sparse tra tutti i comuni delle provincie aderenti.
Aceri, frassini, querce e tante altre specie locali hanno trovato posto nei parchi, sui cigli delle strade e lungo i viali di vari centri abitati andando a incrementare la dotazione di verde pubblico con grande soddisfazione di cittadini e amministrazioni.
La virtuosa iniziativa si inserisce nell’ambito di una legge nazionale che ha come obiettivo la sensibilizzazione delle comunità al rispetto per l’ambiente e alla tutela del patrimonio naturalistico nazionale.