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Le ECO Guide di Lifegate

Le ECO-Guide di corriere.it

Bellezza bio

Creme, balsami e saponi nutrono dall’esterno. Se sono bio non aggrediscono la pelle. E nemmeno l’ambiente.

La ricerca di uno stile di vita maggiormente in armonia con la natura e l’ambiente, che va dal nutrirsi di alimenti privi di pesticidi fino alla scelta dell’auto da guidare, non può certo dimenticare la cura per la propria persona. La cosmesi biologica nasce per soddisfare questa esigenza. Il biologico infatti è un sistema di coltivazione che esclude l’uso di sostanze chimiche, rispetta i cicli naturali del terreno e permette di catturare più CO2 rispetto alle coltivazioni convenzionali. Scegliendo un cosmetico con ingredienti biologici, quindi, si contribuisce a proteggere il pianeta.
Bio vs convenzionale – I cosmetici bio sono un sottoinsieme di quelli classici, di cui rispettano la legislazione, ma con più limitazioni. Ad esempio, a seconda dei disciplinari, devono essere sottoposti a controlli sulla tollerabilità cutanea e sull’efficacia del sistema conservante. I test animali sul prodotto finito sono oggi vietati sia per i cosmetici bio sia per quelli classici, anche grazie all’impegno negli anni del mondo del bio con le associazioni animaliste. Inoltre, nei prodotti bio non sono ammesse alcune classi di sostanze come i derivati del petrolio o i siliconi. Ciò impone un nuovo approccio formulativo che può dare origine a preparati con risultati equivalenti o a volte superiori ai prodotti classici.
Pregi e difetti – Sono composti da ingredienti naturali di cui l’uomo conosce vantaggi e pericoli da generazioni: per questo risulta più facile per il consumatore scegliere un principio attivo piuttosto che un altro, o viceversa evitarlo a causa di un’allergia. Con i moderni cosmetici di sintesi questa scelta è più complessa, perché pur essendo testati per essere sicuri, è inevitabile che si abbiano meno conoscenze storiche riguardo agli effetti sulla salute. Va poi detto che alcuni cosmetici bio si possono equiparare alle formulazioni sintetiche più di altri. Per i detergenti, ad esempio, il paragone per consistenza, qualità, gradevolezza è facile; nelle creme di bellezza, invece, la ricchezza di ingredienti e la «performance» del prodotto è tale da essere difficilmente replicabile con i paletti imposti dal bio. Si avranno così creme ricche di oli vegetali, più attive sulla pelle, ma meno profumate e meno scorrevoli di quelle ricche di siliconi. Il prodotto biologico non vanta, non vuole e non può vantare una sicurezza maggiore del preparato classico essendo anch’esso soggetto alle leggi sui cosmetici, che bandiscono dai prodotti sostanze come nichel e mercurio per tutelare la salute dei consumatori.
Conservabilità - Classici o biologici, i cosmetici, per legge e per buon senso, devono contenere conservanti. I cosmetici bio non possono impiegare quelli sensibilizzanti, disturbatori endocrini, liberatori di sostanze sospettate di essere cancerogene. Nonostante in etichetta si possa trovare la dicitura «non contiene conservanti», in realtà tali prodotti si avvalgono di sistemi innovativi o «non canonici» oppure si autoconservano grazie alla presenza di particolari componenti, in tutta sicurezza. Un efficace estratto vegetale con azione conservante si ottiene dal caprifoglio giapponese, la Lonicera Japonica.
«Naturale» non significa bio - Per riconoscere un cosmetico veramente bio da uno definito genericamente «naturale» l’unico indizio di riferimento è legato alla presenza del marchio di certificazione sulla confezione. In commercio si trovano molti prodotti «normali» che si fregiano dell’aggettivo «naturale» solo perché contengono una piccolissima parte di composti vegetali. Si tratta di una dicitura fuorviante per il consumatore, consentita dal fatto che il settore non è presidiato a livello normativo in maniera chiara.
Cosa cercare in etichetta - In tutta Europa non esiste una regolamentazione dei cosmetici biologici e pertanto questo tipo di prodotto non è soggetto a normativa obbligatoria. Va detto, però, che tendenzialmente i produttori certificano i loro preparati avvalendosi di uno degli enti di controllo - ICEA, CCPB, EcoCert, BDIH, Soil Association - solo per indicare i più diffusi in Italia e in Europa . La presenza del logo in etichetta rivela che l’azienda deo-cosmetica volontariamente ha deciso di sottostare a un disciplinare e di applicare le limitazioni e i controlli a esso associati. Ma che differenza c’è tra le diciture «cosmetico biologico» e «cosmetico con ingredienti biologici»? Il primo è costituito da almeno il 95 per cento di ingredienti vegetali da agricoltura biologica; il secondo contiene solo una parte di componenti vegetali bio, il resto proviene da coltivazioni convenzionali.
Certificazioni - In Italia le principali sono ICEA, CCPB e BioAgricert. In Europa i marchi più rilevanti sono EcoCert in Francia, BDIH in Germania e Soil Association in Gran Bretagna. Ogni organismo di controllo ha un suo protocollo e un marchio depositato che identifica i prodotti certificati. A livello europeo in futuro, probabilmente, resteranno solo due marchi: il Cosmos standard e il Natrue.
Il futuro – Per arrivare a una normativa unica a livello europeo, come per l'alimentare bio, il percorso è ancora lungo, ma il fatto che i disciplinari volontari si vadano riducendo a due costituisce un passo notevole. Bisogna attendere che vi sia il riconoscimento e la presa d'atto da parte della Commissione europea per una definizione del cosmetico biologico. Attualmente l'unico sistema pubblicato sulla Gazzetta ufficiale europea è quello relativo a EcoLabel cosmetico. Si tratta di un sistema di certificazione ufficiale riconosciuto a livello europeo ma poco noto al grande pubblico. Esso definisce l'impatto ambientale del prodotto ma nulla dice sul biologico.
Cosmos standard - Deriva dall’armonizzazione dei marchi ICEA, EcoCert e Cosmebio, BDIH, Soil Association. Cosmos dovrebbe presumibilmente diventare il modello armonizzato di riferimento nel campo della cosmetica biologica e naturale e i suoi scopi sono dare garanzie di trasparenza ai consumatori e promuovere l'uso del biologico in cosmetica. Da qui a cinque anni potrebbe sostituire le diverse certificazioni nazionali. Per garantire una cosmetica realmente naturale, Cosmos prevede due livelli di certificazione: Cosmos-Natural (senza obbligo di biologico ma con al massimo il 2% di materie prime di sintesi) e Cosmos-Organic (con precisi obblighi relativamente al biologico). Il disciplinare vieta l'utilizzo di nanoparticelle inferiori a 100 nanometri e l'impiego di piante Ogm. Un aspetto già osservato per il sistema ICEA e che è stato introdotto nel nuovo standard è la definizione dell'impatto ambientale del cosmetico.
Natrue – E’ nato in Germania su iniziativa di alcune aziende tedesche che stanno coinvolgendo anche realtà di altre nazioni. E’ un sistema che sicuramente si prefigge obiettivi meno elevati del Cosmos ma, come dicono gli operatori del settore, permette di ottenere da subito prodotti certificati. Natrue considera la percentuale di bio calcolando solo la parte «secca», ovvero escludendo l'acqua del prodotto. In questo modo rende più facile raggiungere quantità elevate di bio, poiché elimina un fattore di diluizione. Nel caso del Cosmos, invece, l’approccio è diverso: la presenza di biologico nel prodotto viene calcolata sul totale, considerando anche l’acqua. In questo caso la percentuale di estratti risulta ovviamente minore, in quanto sono dispersi nell'acqua della formulazione. Le quantità ottenibili sono notevolmente inferiori rispetto all'approccio Natrue, e ciò obbliga i produttori a inserire una dose maggiore di ingredienti bio se vogliono ottenere la certificazione relativa.
(Con la collaborazione del dott. Mario Zappaterra, chimico cosmetologo, consulente presso il Centro di Cosmetologia dell’Università di Ferrara)

Guida ai loghi e simboli green:
Quali sono e cosa significano i più diffusi simboli da cercare su etichette di prodotti, oggetti e confezioni

L'interesse per gli acquisti verdi è da anni in crescita, anche in Italia. Uno stile di vita rispettoso dell’ambiente richiede scelte fatte con impegno e attenzione. Ecco quali sono e cosa significano i più diffusi simboli da cercare su etichette di prodotti, oggetti e confezioni che vantano caratteristiche di ecosostenibilità.
I loghi delle ecoetichetteI loghi delle ecoetichette    I loghi delle ecoetichette    I loghi delle ecoetichette    I loghi delle ecoetichette    I loghi delle ecoetichette
QUALITÀ AMBIENTALE – Il primo marchio è stato Der Blaue Engel («angelo azzurro», una figurina umana coronata d'alloro), nato nel 1978 in Germania per contrassegnare i prodotti che rispettavano l'ambiente per diversi aspetti quali il contenuto di sostanze nocive, le emissioni inquinanti in aria, rumore, riduzione dei rifiuti, risparmio di risorse ed energia. Dieci anni dopo è nata l'etichetta scandinava Nordic Ecolabel, il cui simbolo è un cigno stilizzato su barre verdi. Nel 1992 nasce l'Ecolabel, l'etichetta ecologica europea: una margherita il cui bottone è una «e» con dodici stelline come petali. Questi marchi sono concessi da enti terzi dopo precisi controlli quindi sono una garanzia, oltreché di ecologia, anche di un'informazione chiara e affidabile. Si trovano oggi sulle etichette di decine di migliaia di prodotti che hanno un minore impatto ambientale durante l'intero ciclo di vita, dall'estrazione delle materie prime alla produzione e smaltimento. Non si riferiscono però necessariamente all'uso di materie prime riciclate.
RICICLABILE E RICICLATO – Il logo più famoso è anche quello meno significativo e vincolante. Ogni azienda, senza controlli da parte di un ente terzo, è libera di decidere se usare o no le tre freccine che si inseguono (freccine di Möbius) per indicare i prodotti fatti di materiali che si possono riciclare, cioè che sono banalmente «riciclabili». Ben diversa l'interpretazione del marchio negli Stati Uniti, dove è usato su prodotti di materie prime già riciclate. Esiste anche un logo tondo con due freccine che si rincorrono in tondo, il Der Grüne Punkt, gestito dall'associazione europea di industrie dell'imballaggio Pro Europe: segnala che è stato correttamente pagato il contributo per la gestione della raccolta differenziata.
PRODOTTI DI LEGNO E FORESTE - I marchi Fsc e Pefc si possono trovare su carta, cartone e legno e certificano che tutti gli alberi usati provengono da foreste gestite in modo sostenibile, rispettando determinati standard ambientali e sociali. Sempre più spesso si trovano in abbinamento con la percentuale di fibre riciclate. Fsc identifica una Ong internazionale nata nel 1993 indipendente e senza scopo di lucro, la Forest Stewardship Council, che raggruppa associazioni ambientaliste e sociali, comunità indigene, proprietari forestali, industrie per la lavorazione e commercializzazione del legno, scienziati e tecnici. Pefc, Programme for Endorsement of Forest Certification, è una certificazione volontaria del settore privato e senza fini di lucro, nato nella Ue come risposta al Fsc dopo diversi incontri tra i rappresentanti di proprietari forestali di alcuni Paesi promotori (Austria, Finlandia, Francia, Germania, Norvegia e Svezia), cui sono seguite altre adesioni. Al momento sono coinvolti 14 paesi europei, ciascuno con il rispettivo organismo di gestione nazionale. Diversamente da tutti gli altri, questi due loghi vanno a certificare sia il prodotto finito, sia la filiera produttiva a partire dalla fonte, le foreste.
AGRICOLTURA BIOLOGICA – Il nuovo logo europeo del bio è nato da un concorso aperto a studenti d'arte, vinto dallo studente tedesco di design Dušan Milenković. Dal 1° luglio 2010 deve essere obbligatoriamente ben visibile su tutti i prodotti alimentari da agricoltura biologica nel mercato europeo, che rispettano il Regolamento del Consiglio Ce 834/2007. Dà sicurezza riguardo l'origine e la qualità degli alimenti e delle bevande. L'agricoltura biologica è un metodo che esclude l'uso di pesticidi e concimi sintetici nel terreno, ha un basso impatto ambientale e garantisce l'assenza di residui indesiderabili nel cibo. In Italia operano venti organismi di controllo autorizzati dal ministero delle Politiche agricole che verificano, con ispezioni annuali, il rispetto dei regolamenti da parte delle aziende biologiche, concedendo infine l'uso del marchio.
TESSILE – La scritta «Fiducia nel tessile» campeggia sotto l'arco di una margherita ricamata nel logo degli istituti indipendenti di prova aderenti all’associazione internazionale Oeko-Tex. Si trova su tessuti, capi d'abbigliamento, accessori e biancheria da letto che rispettano l'Oeko-Tex Standard 100. Non è solo una dichiarazione di impegno a produrre manufatti garantiti dal punto di vista ecologico, ma soprattutto un riconoscimento oggettivo che si ottiene con prove di laboratorio che verificano l'assenza di sostanze nocive. I capi di abbigliamento e gli altri prodotti tessili vantano così l'ulteriore garanzia di essere stati analizzati per valutarne l’innocuità per la salute umana.
AZIENDE – Esistono anche certificazioni non di singoli oggetti ma di intere aziende e stabilimenti. La più nota è lo standard ISO 14001, a cui aderiscono le imprese che riescono a realizzare un «sistema di gestione ambientale» al loro interno, cioè che tengono sotto controllo gli aspetti ambientali nei siti produttivi, negli uffici, in ogni fase dell'attività. In Italia siamo secondi in Europa, dopo la Spagna, con oltre 14.000 certificati emessi. Una sorta di estensione di questa norma è l'Emas, che accentua l'attenzione sulle prestazioni ambientali nel tempo, gli obiettivi di miglioramento e gli aspetti di comunicazione esterna. La scritta ISO 14001 e il logo Emas non si trovano sulle etichette, ma le aziende li possono apporre sui loro materiali istituzionali e pubblicitari, carta intestata e siti Internet.
LA FUTURA ETICHETTA DEL CLIMA –È in discussione un nuovo sistema per contrassegnare prodotti il cui impatto sul clima sia stato calcolato, in termini di emissioni di CO2. Starà a indicare il rispetto dello standard ISO 14067 e sarà riconosciuto a livello mondiale. Il logo potrebbe comunicare immediatamente che il prodotto è attento all'ambiente, e nello stesso tempo riportare i dati esatti del suo impatto energetico-climatico.
(Con la collaborazione di Daniele Pernigotti, delegato italiano in ISO/TC 207, presidente Club Emas Veneto, autore di 'Carbon Footprint' Ed. Ambiente)
Acqua da bere

Dal rubinetto alla bottiglia, dal supermercato alle case dell’acqua. Come sceglierla pensando all’ambiente e alla CO2.

L’acqua è vita, gioia, fertilità, freschezza, rigenerazione, bisogno vitale. L’uomo nasce nell’acqua, insegue l’acqua, è fatto d’acqua. È necessario berne fino a due litri al giorno per mantenere l’idratazione del corpo. Una parte si assimila dal cibo, specialmente da frutta e verdura, il resto dal bicchiere. Oggi ci viene offerta in mille modi, dal rubinetto, naturale, frizzante, filtrata, aromatizzata, in bottiglie di ogni forma e colore. Una questione di gusto, benessere, costi e praticità. Ma anche di ecologia: tra i fattori che possono influire sulla scelta c’è anche l’impatto ambientale, che varia moltissimo in base ai fattori di produzione, imbottigliamento e trasporto.
ACQUA DEL RUBINETTO – La qualità e la composizione dell’acqua variano da comune a comune, in Italia. È possibile testarne la qualità grazie a un kit «fai da te» che si trova in farmacia. L’idea è stata brevettata da due ricercatori dell'Università Bicocca di Milano. Servendosi di diverse cartine si ottiene l’analisi immediata di ph, durezza e contenuto di sostanze indesiderate. Esistono delle brocche col filtro che diminuiscono la presenza di cloro o di piombo, rame e carbonati di calcio e magnesio. Chi ama le bollicine può acquistare i gasatori domestici, che sono anche oggetti di design.
ACQUE IN BOTTIGLIA - Il nostro Paese si colloca al terzo posto nel mondo per consumo pro capite, con 205 litri l’anno e 240 bottiglie per famiglia. Un dato interessante da ricercare in etichetta è il valore dei nitrati (NO3), che sono considerati indice di qualità ambientale dell’area di provenienza. Inferiore è il valore, migliore è la qualità. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sconsiglia l’uso per i bambini di acque con nitrati superiori a 10 mg/l. La parte più rilevante dell’impatto ambientale è da attribuire alla produzione del packaging, in media il 74 per cento, e al processo produttivo il 18 per cento. Il restante 8 per cento è imputabile ai trasporti.
LA CO2 DELLE BOTTIGLIE - I materiali che compongono le bottiglie sono diversi (Pet, vetro, Pla). Per ogni litro d’acqua minerale racchiuso nella plastica Pet si causano emissioni da 120 a 160 grammi di CO2 e per la bottiglia in vetro a rendere dai 150 ai 180 grammi, la stessa di un’auto che percorre un chilometro; per il vetro a perdere 680 grammi, pari a quattro chilometri in auto. Un’alternativa è data dal Pla: materiale biodegradabile al 100 per cento, interamente naturale, rinnovabile e non inquinante perché deriva dal mais. Non si scioglie a contatto con l’acqua, ma si biodegrada solo in un processo anaerobico grazie alla presenza di specifici batteri. Alcuni supermercati garantiscono sugli scaffali la presenza di acque locali, a «chilometro zero» per evitare tonnellate di emissioni di CO2 in atmosfera. Per i soli trasporti di acqua minerale in Italia ogni anno si muovono 1 milione di Tir.
CURIOSITÀ – La regione con la miglior qualità dell’acqua è l’Alto Adige, dove non è necessario trattarla, clorarla o filtrarla. Se l’acqua sa di cloro, lo si può far evaporare in una brocca aperta, per due ore. Per quanto riguarda il calcare: la durezza è un parametro considerato non rischioso per la salute, infatti non esiste un limite imposto dalla legge, bensì un valore consigliato compreso entro i 50 gradi francesi (unità di misura). Di norma tale valore viene abbondantemente superato dalle principali acque minerali in bottiglia, comprese quelle per neonati. Un’acqua dolce, al contrario, è povera di sali minerali importanti per le funzioni vitali dell’organismo. Le bottiglie da mezzo litro pesano circa 20 grammi, molto di più in proporzione al volume dell’acqua contenuta rispetto a quelle da un litro e mezzo, che ne pesano da 25 a 35. Generalmente, le bottiglie per l’acqua gasata possono essere realizzate con una plastica più spessa, e quindi più impattante rispetto a quelle dell’acqua naturale.
CASE DELL’ACQUA – È una realtà che si sta diffondendo rapidamente e che per ora interessa solo alcune regioni italiane, prima fra tutte la Lombardia con oltre 180 impianti, seguita da Piemonte (41) ed Emilia Romagna (9). Ma in pratica di cosa si tratta? Sono punti di erogazione dell’acqua liscia o gassata che i cittadini possono prelevare portandosi le bottiglie da casa. Un servizio che può consentire un risparmio di 250-300 euro a famiglia e di circa 70 kg di CO2 all’anno. La mappa aggiornata si trova su www.casadellacqua.com.
DA SAPERE SULL’ACQUA
NUMERI – Nel mondo si consumano 120 miliardi di litri di acqua imbottigliata, con un mercato che vale circa 80 miliardi di dollari all’anno; in Italia il giro d’affari supera i 5 miliardi e mezzo di euro, con oltre 300 marche e quasi 200 fonti di approvvigionamento. Ogni anno si devono smaltire 350.000 tonnellate di bottiglie di Pet, con emissioni in atmosfera di 910.000 tonnellate di CO2: quanto quelle di una città di 80.000 abitanti. L’acqua del rubinetto costa in media 260 volte meno della minerale.
NORME – Acqua potabile: si intende quella che esce dal rubinetto e dalle fontanelle pubbliche. Il Decreto Legislativo n.31 del 2 Febbraio 2001, che recepisce nella legislazione nazionale le prescrizioni della direttiva dell'Unione Europea 98/83/CE relative alla qualità delle acque destinate al consumo umano, regolamenta gli aspetti organolettici, microbiologici, chimici dell'acqua fissando dei limiti massimi di concentrazione. L'acqua potabile può essere trattata con il cloro che serve ad evitare la proliferazione batterica. Per garantirne la potabilità viene controllata a intervalli regolari, sia dai gestori sia dalle Asl.
Acqua da tavola: è l'acqua potabile che si trova nei boccioni degli uffici oppure quella servita in caraffe nei ristoranti, indicata come «acqua potabile trattata» o «acqua potabile trattata e gassata».
Acqua di sorgente: si preleva alla fonte della migliore falda dell'acquedotto, non può essere clorata ma può subire gli stessi trattamenti delle acqua minerali.
Acqua minerale: la legge considera acque minerali «le acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari ed, eventualmente, proprietà favorevoli alla salute». Sono consentite l'aggiunta di anidride carbonica e l'eliminazione di ferro e zolfo. La normativa vigente stabilisce che le acque minerali naturali si distinguono dalle ordinarie acque potabili perché sono pure già alla fonte, perché sono conservabili, per la concentrazione di minerali, oligoelementi e perché possono essere indicate nel trattamento di alcune specifiche patologie. Infine, ricevono un riconoscimento ufficiale da parte del Ministero della Salute e sono periodicamente controllate dai gestori e dalle Asl.
ECOCONSIGLI - 1- Controllare la qualità dell’acqua di rubinetto, berla è il miglior modo per risparmiare emissioni di CO2. 2- Verificare se c’è una casa dell’acqua vicina e provare il servizio. 3- Se si sceglie acqua in bottiglia, preferire quella contenuta nel vetro, nella bioplastica o «a chilometro zero». 4- Se si sceglie il vuoto a rendere, accertarsi che lo stabilimento di imbottigliamento non sia troppo lontano da casa, in modo che i vuoti percorrano poca strada.
IL FUTURO – Le bottiglie avranno un design studiato per minimizzare l’uso di materie prime e lo spazio per il trasporto. E saranno biodegradabili. Sono allo studio plastiche fatte con scarti degli zuccherifici e bucce di pomodoro, polimeri composti da acqua e argilla, e progetti come la paper water bottle, brik di materiale riciclabile. Per sterilizzare l’acqua degli acquedotti i consorzi non useranno più il cloro, ma tecnologie alternative. Ad esempio un processo che prevede l'utilizzo della luce solare, o i raggi ultravioletti che rimuovono l'ozono, riducono i contaminanti organici e uccidono anche i batteri resistenti al cloro senza lasciare residui.

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