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02/12/11

Ford lavora sul cocco per evitare il petrolio:


Le diverse case automobilistiche, negli ultimi anni, hanno cominciato a sintonizzare i propri concetti di progettazione sull’ecocompatibilità. Alcune si sono dedicate soprattutto alla costruzione di auto elettriche, altre su veicoli ibridi, altre ancora su motori a basso consumo ed emissione di diossido di carbonio e infine altre sulla costruzione di automobili dotate di materiali riciclabili di base biologica ed ecocompatibili. E’ quest’ultimo il caso che ha interessato maggiormente la statunitense Ford.
Ad esempio, nel corso degli anni, i veicoli Ford si sono dotati dicuscini ergonomici fatti di schiuma a base di semi di soia, cruscotti in schiuma all’olio di ricino, filamenti di paglia di frumento per le parti in plastica, resine riciclate per i substrati della sottoscocca, filamenti riciclati per i copri sedili, etc… Ora l’azienda, in collaborazione con la Scott Miracle-Gro Company, sta sperimentando l’uso della fibra di cocco per la costruzione di componenti dei veicoli che andrebbero a sostituire quelli fatti in plastica derivante dal petrolio.
La Scott Miracle-Gro è una società statunitense che utilizza ogni anno circa 35000 tonnellate di fibre di cocco per lamanutenzione di parchi e giardini. Ricava da queste fibre unterriccio che ha la capacità di trattenere circa il 50% di acqua in più e di rilasciare quest’ultima gradualmente in relazione alle necessità delle piante. Molti gusci di cocco per problemi di qualità, vengono scartati dall’azienda in quanto non sono opportuni per la produzione di terriccio. Ed è qui che entra in gioco la Ford in quanto tali cocchi scartati possono essere utilizzati per la produzione di diversi componenti automobilistici come rivestimento delle portiere e sedili, contenitori di vario tipo e porta bicchieri.
Le fibre di cocco, oltre a costituire un indubbio vantaggio ambientale, presentano anche note positive per il veicolo nello specifico in quanto producono componenti più leggeri, rispetto ai soliti fatti di plastica derivante dal petrolio, che consentono di ridurre i consumi del veicolo in fase di spostamento. Inoltre creano finiture più naturali ed una texture di un piacevole design d’insieme.
A quanto pare questa è la classica situazione win-win, cioè è un progetto che apporterebbe miglioramenti sia alla casa automobilistica, sia all’azienda produttrice di materiale a fibre di cocco e soprattutto all’ambiente. Questa tecnologia innovativa e rinnovabile consentirebbe di ridurre la forte dipendenza dal petrolio e i consumi sia in fase di produzione che in fase di smaltimento in quanto si ridurrebbero notevolmente l’immissione di rifiuti automobilistici.
Aspettiamo di vedere cosà potrà riservarci il mercato automobilistico del futuro, le prospettive sono più che buone.

Pirelli verso il pneumatico ecologico:


Un giro di vite importante in direzione della sostenibilità ambientale, sociale, economica. Pirelli ha presentato nei giorni scorsi il piano strategico per il triennio 2012-2014, proponendo obiettivi numerici e di gestione decisamente “green oriented”.
Nei processi produttivi verranno introdotti sistemi in grado di ridurre del 70% il prelievo specifico di acqua e del 15% le emissioni specifiche di CO2 rispetto al 2009. Una strada già intrapresa nel 2011, con risultati molto soddisfacenti, e riduzioni dei valori rispettivamente del 29% e del 5%.
Per quanto riguarda i prodotti, il Gruppo punta ad intensificarel’utilizzo di materie prime a limitato impatto ambientale, e grazie a maggiori investimenti sulla ricerca, a migliorare le performance delle coperture eco-compatibili, allargando il circuito delle vendite al mercato cinese e nelle Americhe.
All’estero si guarderà molto anche per l’integrazione nel nuovo modello aziendale delle nuove realta’ produttive in Messico, Russia e Indonesia. Pirelli intende rafforzare ‘ la cooperazione con le autorita’ governative e non per condividere iniziative finalizzate allo “sviluppo della cultura della sostenibilita’, in particolare riferita alla sicurezza stradale.
Ricordiamo che il gruppo italiano da cinque anni detiene il titolo di leader mondiale di sostenibilita’ del settore ‘Auto Parts and Tyre’ , sulla base degli indici Dow Jones Sustainability Stoxx e Dow Jones Sustainability World.

Alla scoperta del vino biodinamico:


Negli ultimi tempi vari viticoltori hanno abbracciando il metodo biodinamico per la produzione enologica, con il fine di mettere sul mercato vini che possano davvero essere definiti come “in armonia con la natura”, derivanti da processo produttivo olistico e totalmente sostenibile.
In linea con l’agricoltura biodinamica, che considera l’azienda agricola un organismo vivente, anche nella viticoltura biodinamica alla terra viene data fertilità utilizzando lombrichi, piante, polvere di quarzo (che facilità la capacità di assorbire la luce solare). Non solo dal vigneto è bandita la chimica, ma perfino il concime organico viene usato con parsimonia. I vigneti biodinamici rispettano i tempi della natura e considerano come fondamentale la cura delle risorse naturali disponibili. Per questo, alla base della vigna ci si trovano spesso erbe come valeriana, menta, ortica e camomilla, che incidono fortemente sul sapore dell’uva.
L’irrigazione dei vigneti è esclusivamente manuale. La vendemmia è “dolce”, ovvero attenta a non danneggiare la pianta. Le fermentazioni sono fatte con lieviti autoctoni. In alcuni casi, il vino invecchia nelle barriques a suono di musica. Ancora meglio se in cantine costruite esclusivamente con legno e vetro – e che producono l’energia di cui hanno bisogno con impianti fotovoltaici o micropale eoliche.
I vini che risultano sono di altissima qualità, complessi, con profumi molto particolari e molto bilanciati. Certo, un vino biodinamico è un vino che bisogna “attendere” pazientemente, come le persone un po’ timide che si concedono poco per volta. Ma la sorpresa che ci riservano può essere davvero gradevole.

Olio di palma sostenibile, solo un'azienda su 2 lo usa:


Solo una azienda su due utilizza l’olio di palma sostenibile (contro la deforestazione): è quanto sostiene il Fondo Mondiale per la Natura (WWF) che ha studiato 132 imprese europee che fanno uso di olio di palma. Secondo il report pubblicato ieri (a fondo pagina il pdf completo da sfogliare, in lingua inglese) cresce l’utilizzo da parte delle industrie di questo tipo di olio, ma ancora troppo lentamente: si stima che quasi una industria su due non ha rispettato lo statuto del RSPO – Roundtable for Sustainable Palm Oil (Tavola Rotonda sull’Olio di Palma Sostenibile). La Tavola Rotonda sull’Olio di Palma Sostenibile è un’associazione creata nel 2004 e riunisce produttori, distributori e ONG di tutto il mondo (Italia compresa). Per le ONG: “ci sono stati dei progressi rispetto all’ultimo sondaggio nel 2009, ma gli impegni non si riflettono abbastanza rapidamente in un maggior uso di olio di palma certificato sostenibile”. I criteri utilizzati per valutare le aziende sono i loro impegni, i loro approvvigionamenti e la trasparenza. Impegni che prevedono, tra l’altro, l’adesione alla Tavola Rotonda come membri attivi e l’obiettivo di rifornirsi di solo olio di palma sostenibile (certificato) entro il 2015. Purtroppo ad oggi, quasi la metà dei distributori aderenti (17 su 43) e più di un quinto dei produttori (15 su 89) hanno totalizzato un punteggio molto basso rispetto alle responsabilità assunte per l’impatto del loro approvvigionamento di olio di palma. 
Tre le società italiane presenti nella Roundtable for Sustainable Palm Oil: Barilla, Ferrero e IGOR (Industria Grassi Olii Raffinati) SpA. Di seguito la tabella del WWF con segnalate alcune delle aziende presenti, comprese le tre italiane appena citate (il pdf completo a fine pagina), dove Barilla ottiene il punteggio più alto (seppur non entusiasmante), mentre Ferrero e soprattutto IGOR un punteggio negativo.