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08/02/12

L'italia ingrigisce, 100 campi di calcio al giorno:


Nei prossimi anni la copertura di terreni verdi o agricoli con asfalto e cemento per costruire case, capannoni, industrie, strade, superstrade, autostrade arriverà a 75 ettari al giorno. Dossier Fai-Wwf. Con una road map per evitarlo.

 

Spariranno 75 ettari al giorno di verde in Italia. Oltre 100 campi da calcio al giorno che da verdi diventano grigi, coperti da strade, capannoni spesso sfitti, palazzi di periferia. E' quanto rischia di accadere se l'edificazione selvaggia proseguirà. L'allarme si basa sui dati raccolti e presentati dal Fai (Fondo ambiente italiano) con il dossier 'Terra rubata-viaggio nell'Italia che scompare'. La stima emerge da un'indagine condotta in undici regioni italiane, rappresentative del 44% della superficie del territorio italiano: Umbria, Molise, Puglia, Abruzzo, Sardegna, Valle d’Aosta, Lazio, Liguria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia. 
 
Consumo del suolo. Alcuni numeri
Secondo il dossier Fai-Wwf l'area urbana in Italia negli ultimi 50 anni si è moltiplicata di 3,5 volte ed è aumentata dagli anni '50 ai primi anni del 2000 di quasi 600mila ettari. I nuclei urbani continuano a ampliarsi nonostante migliaia di residenti scelgano ogni anno di andare a vivere altrove: per ogni abitante perso la città grigia cresce invece di 800 metri quadrati. In Emilia Romagna tra il 1954 e il 2008 sono spariti 9 ettari di suolo al giorno. In Sardegna l’incremento di terreno urbanizzato è cresciuto del 1.154% rispetto agli anni Cinquanta. Poi ci sono alcune piaghe, come le cattedrali nel deserto, l'abusivismo edilizio e le cave, tipicamente italiane. I progetti attualmente in corso di grandi infrastrutture mettono a rischio 84 aree protette, 192 siti di interesse comunitario e 64 International bird area. Dal 1948 a oggi, sono stati 4,5 milioni gli abusi edilizi: 75mila l'anno e 207 al giorno. Tre i condoni negli ultimi 16 anni (1985, 1994 e 2003). Le cave, solo nell'anno campione 2006, hanno mutilato il territorio escavando 375 milioni di tonnellate di inerti. Dal 2000 al 2010 si è registrata in agricoltura una diminuzione della superficie dedicata dell'8% e della superficie utilizzata del 2,3%, mentre il numero delle aziende agricole e zootecniche è diminuito nello stesso periodo del 32,2%. Circa il 70% dei Comuni è interessato da frane che, tra il 1950 e il 2009, hanno provocato 6439 vittime tra morti, feriti e dispersi. Allarma, infine, anche il rischio desertificazione: il 4,3% del territorio italiano è considerato "sensibile a fenomeni di desertificazione" e il 12,7% come 'vulnerabile'". Per questo, secondo gli esperti riuniti a convegno a Milano, il consumo del suolo è il primo problema che abbiamo in Italia, perché raggruppa problemi di sicurezza, come l'assetto idrogeologico, di legalità come l'abusivismo edilizio, problemi ambientali di tutela come quelli paesaggistici e naturalistici, commerciali, di turismo. 
 
Terra rubata. Viaggio nell’Italia che scompare
E' il titolo del dossier del progetto svolto dall’Università degli studi dell’Aquila e promosso dal Fondo ambiente italiano (Fai) e dal Wwf. Durante la presentazione a Milano il 31 gennaio Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidente onorario del Fai, ha sottolineato la necessità di "affrontare il domani e non solo l’emergenza, perché poi si paga se nell’emergenza si è agito nella maniera sbagliata. Mi auguro che il governo Monti, che pure ha dovuto affrontare emergenze che risalgono all’epoca dei nostri padri fondatori, consideri anche il domani che seguirà alle sue scelte". "Il territorio è sottoposto a una minaccia spaventosa - ha ribadito il presidente onorario del Wwf Fulco Pratesi - di cui pochi si rendono conto". "In Italia non si può tracciare un cerchio del diametro di 10 km senza intercettare un nucleo urbano", ha precisato Costanza Pratesi, responsabile ufficio Ambiente e paesaggio del Fai. Una crescita a macchia di leopardo e senza pianificazione, che non è più legata a un contesto storico particolare, come lo era nel dopoguerra, ma che procede costantemente senza essere guidata: alcune leggi vigenti risalgono al 1942.
 
Le proposte Fai e Wwf
- Moratoria delle nuove edificazioni su scala comunale in attesa di nuovi, più severi limiti all'urbanizzazione nei piani regolatori
- Censimento degli effetti dell’abusivismo edilizio su scala comunale
- Priorità al riuso dei suoli anche utilizzando la leva fiscale per penalizzare l’uso di nuove risorse territoriali e favorire il cambio di destinazione d’uso di un terreno se coerente con le scelte in materia di ambiente, paesaggio, trasporti e viabilità
- Indirizzare in via prioritaria le nuove edificazioni negli ambiti urbani consolidati e nel recupero delle aree dismesse
- Rafforzare la tutela delle coste, estendendo da 300 a mille metri dalla linea di battigia il margine di salvaguardia
- Difendere i fiumi non solo attraverso il rispetto delle fasce fluviali, ma con interventi di abbattimento e delocalizzazione degli immobili situati nelle aree a rischio idrogeologico. Questo potrebbe anche evitare esiti tragici del dissesto, come quelli dell'autunno 2011 nelle Cinqueterre in Liguria.
- Imitare esempi virtuosi come Inghilterra, Francia e Germania che, attraverso la programmazione e tassazione, sono riusciti a scoraggiare l'occupazione di suoli agricoli.

L'intervista al Presidente del Fai Lombardia, Anna Gastel

 

Aggiunte nuove sostanze a elenco inquinanti. Tra cui farmaci:

L'Unione Europea ha messo sotto esame l'inquinamento chimico delle acque e ha proposto ai ministri dell'ambiente europei di aggiungere 15 nuove sostanze all'elenco dei 33 inquinanti gia' ufficialmente monitorati e controllati nelle acque di fiumi, laghi e mari. Le 15 sostanze comprendono prodotti chimici industriali e sostanze utilizzate nei disinfettanti, nei prodotti per l'agricoltura e nei farmaci. E' la prima volta che Bruxelles propone di introdurre farmaci tra gli inquinanti, senza mettere in discussione il loro valore farmaceutico, ma considerando gli eventuali effetti pericolosi, ad esempio sulla salute dei pesci e della biodiversita', quando raggiungono le falde acquifere.

Freddo polare in Europa: colpa dello scioglimento dei ghiacci artici,


Alterati venti e pressione: indebolito l’anticiclone delle Azzorre, l’aria polare si può così espandere sul continente

Il Reno ghiacciato a Colonia (Epa)Il Reno ghiacciato a Colonia (Epa)
MILANO – Il grande freddo che in questi giorni ha trasformato l’Europa centro-orientale e anche l’Italia in una sorta di cella frigorifera ha una causa che è il suo esatto opposto: fa troppo caldo. Una battuta (freddura?) scadente, una contraddizione di termini? Secondo i ricercatori tedeschi dell’Istituto Wegener dell’Associazione Helmholtz il freddo gelido sull’Europa dipende dallo scioglimento estivo record della calotta del polo Nord che modifica la circolazione atmosferica artica.
BANCHISA - Nello studio pubblicato sulla rivista Tellus A, viene spiegato che il ghiaccio artico riflette nell’atmosfera gran parte della luce solare che riceve. Se la banchisa si scioglie, il calore del sole riscalda l’oceano che, tra l’altro, è più scuro del ghiaccio e assorbe molto più calore. Inoltre la copertura ghiacciata impedisce che il calore immagazzinato dagli oceani sia poi rilasciato nell’atmosfera riscaldandone gli strati inferiori. Il risultato è che l’aria si riscalda più del normale, specie in autunno e in inverno perché in queste stagioni l’oceano è più caldo dell’atmosfera. L’aria riscaldata tende a salire rendendo instabile la colonna atmosferica, spiega Ralf Jaiser, a capo della ricerca, alterando i meccanismi che regolano la pressione e la circolazione dell’aria.
ANTICICLONE - Uno di questi meccanismi controlla le differenze di pressione tra l’Artico e le medie latitudini: le basse pressioni intorno all’Islanda e l’anticiclone delle Azzorre. Se la differenza di pressione tra le due strutture resta alta, i venti occidentali portano aria più calda e umida dall’Atlantico sull’Europa. Se invece la differenza di pressione è minore, i venti occidentali non arrivano – o arrivano con meno intensità – non riescono a impedire che le masse artiche gelate si possano espandere sul continente come è avvenuto negli ultimi due inverni.
STESSI RISULTATI - Recentemente un'altra ricerca indipendente da quella degli studiosi tedeschi era arrivata alla stessa conclusione. Il raffreddamento invernale, dicono in sostanza i meteorologi americani, è da mettere in relazione con il forte riscaldamento al quale sono state sottoposte le regioni artiche nei mesi di luglio, agosto e settembre.

Moda green: quando un tessuto può dirsi «ecologico»


Si può essere alla moda anche rispettando l’ambiente? Sembra proprio di sì

I marchi del tessile che hanno scelto di produrre abiti ecologici e che rispettano anche i diritti dei lavoratori sono sempre più numerosi. Lo ha confermato l'ultima edizione della Berlin Fashion Week, tenutasi dal 18 al 21 di gennaio scorso, dove a questo tema sono stati dedicati cinque saloni - Ethical Showroom, Green Showroom, EcoShowroom, Showfloor Berlin e In Fashion. Ma quali caratteristiche deve avere un capo d’abbigliamento per essere definito ecologico?
La scelta della natura – Oltre alle materie prime naturali, come cotone, lino, canapa, iuta, seta e lana, un indumento ecologico rispecchia anche caratteristiche legate alle tinture, che non sono sintetiche e inquinanti, al tipo di lavorazione e alle finiture. Inoltre può provenire da materiali di riciclo e da produzioni artigianali locali, meno impattanti sull’ambiente.
Questione di fibre – Secondo il rapporto «Well dressed?» dell’Institute for manifacturing dell’Università di Cambridge se il cotone utilizzato nel settore fosse solo biologico il pesante contributo inquinante di pesticidi, concimi di sintesi e tinture artificiali diminuirebbe del 92 per cento. La Cannabis sativa(canapa) è una delle materie prime più ecologiche, essendo una pianta che richiede pochi fertilizzanti e insetticidi e ha un accrescimento rapidissimo, in cinque mesi raggiunge anche i 5 metri d’altezza. Dalle sue fibre si ottengono tessuti sottili, morbidi e robusti. Infine il lino: fibra tessile antichissima, ha un ciclo di vita di soli cento giorni e ha il vantaggio di richiedere poca acqua e di essere quasi esente dall’attacco dei parassiti. Risulta dunque una delle coltivazioni a minor impatto.
Loghi e certificazioni – Un marchio unico, nazionale o europeo, che certifichi l’ecosostenibilità dei capi d’abbigliamento non esiste ancora. L’unica soluzione per le aziende del settore consiste nel puntare sulle certificazioni volontarie, che comunque non garantiscono la sostenibilità ambientale e sociale dell’intero prodotto finito bensì, separatamente, l’utilizzo di materie prime a basso impatto o di provenienza biologica, l’assenza di sostanze chimiche nocive per la salute umana, il trattamento equo dei lavoratori nel rispetto dei diritti umani. Tra le più note troviamo:
Ecolabel: nata nel 1992 dall'esigenza di uniformare diversi marchi indipendenti nazionali, è l'etichetta ecologica europea, rappresentata da una margherita il cui bottone è una «e» con dodici stelline come petali;
Oeko-Tex: si trova su tessuti, capi d'abbigliamento, accessori e biancheria da letto. Questo marchio austro-tedesco certifica, grazie a prove di laboratorio, l'assenza di sostanze dannose per la salute;
Gots: è un’etichetta internazionale che certifica la sostenibilità e la responsabilità sociale dei produttori di tessuti biologici. Il gruppo di lavoro che redige lo standard è formato da quattro associazioni: Ota (Stati Uniti), Ivn (Germania), Soil Association (Regno Unito) e Joca (Giappone);
Icea: l'Istituto per la certificazione etica e ambientale italiano valuta che i coloranti e le sostanze chimiche ad uso tessile siano conformi ai criteri dello standard Gots.
Consigli per gli acquisti – Ecco come mettere in pratica le indicazioni per la scelta.
- Cercare in etichetta una delle certificazioni ecologiche.
- Leggere sempre la composizione: il decreto legislativo 194 del 22 maggio 1999 impone l’obbligo di riportare il tipo di fibre di cui è composto un capo d’abbigliamento e in che percentuale. Se però questa supera l’85 per cento, la legge consente di non citare gli altri materiali utilizzati.
- Ricordare che i materiali sintetici come poliammide, lycra, poliestere, elastan, polipropilene derivano dal petrolio. Talvolta però derivano dal riciclo della plastica e quindi possono comunque considerarsi eco.
- Alcune aziende dichiarano in etichetta di usare coloranti naturali, per esempio indaco, curcuma, robbia.
- Preferire i capi da materie prime nazionali e lavorati in Italia: avranno percorso meno strada, rispettato le normative in vigore in materia di inquinamento e avranno emesso meno CO2 in fase di produzione e trasporto.
L’impatto sull’ambiente – Quello della moda è, in linea di massima, il settore meno ‘a chilometro zero’ esistente: una comune T-shirt parte dai campi di cotone di Cina, India o Pakistan, dove tra l’altro le coltivazioni intensive sono irrorate di pesticidi chimici classificati come pericolosi dall’Oms, per raggiungere un’altra area del Sud del mondo in cui essere tessuta a basso costo. Per la tinta si sposta nuovamente, raggiungendo quei Paesi dove le leggi in materia sono assenti e le acque reflue possono essere scaricate nei corsi d’acqua. A questo punto la nostra T-shirt deve essere tagliata e cucita, ma questo avviene in un nuovo Paese e in un altro ancora sarà etichettata prima di raggiungere i punti vendita in Europa. Ecco allora che una semplice maglietta (e con essa falda e terreno) avrà assimilato sostanze chimiche dannose, ma avrà anche fatto il giro del mondo, consumando fonti fossili e liberando nell’atmosfera grandi quantità di CO2. Lo stesso procedimento interessa generalmente tutti i capi di vestiario.
I rischi per la salute – Il ciclo produttivo del tessile prevede che gli indumenti vengano trattati, impregnati o vaporizzati con una miriade di sostanze chimiche. Stabilizzanti, acidi, sali, ossidanti, ignifuganti, tinture di ogni tipo sono solo alcuni dei preparati destinati ai nostri vestiti. Tutte sostanze potenzialmente nocive e costantemente sotto osservazione dagli scienziati, perché possono facilmente lasciare residui sugli indumenti sotto forma di metalli pesanti come arsenico, nichel, cromo, rame, cadmio, piombo, mercurio, ma anche formaldeide, coloranti allergenici e così via.
Tessuti del futuro – La ricerca in campo tessile non è mai ferma. L’ultima frontiera è quella delle nanotecnologie utilizzando microparticelle d’argento nanostrutturato. Applicata al settore dell’abbigliamento sportivo, questa tecnica permette di eliminare i batteri e con essi gli odori. Il tutto senza impiegare battericidi chimici inquinanti e potenzialmente tossici per l’organismo e senza richiedere detersivi aggressivi per la pelle e per l’ambiente.
(Con la collaborazione di Terre di Mezzo, organizzatori della prima settimana della moda sostenibile italiana So critical so fashion)