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01/01/12

Spunta tassa su alcool e junk food:


tassa-cibi-spazzatura-alcool
Finanziare il settore sanitario attraverso una tassa su ciò che alla salute fa più male: alcool e cibi spazzatura. E' questa l'idea alla base della nuova proposta che il Ministero della Salute ha inviato alle Regioni in vista del confronto sul Patto per la Salute 2012-2014.
Ad essere tassati potrebbero essere il cosiddetto junk food e l'alcool. I fondi così reperiti andrebbero a finanziare l'edilizia sanitaria, nell'ambito del Programma straordinario di investimenti in sanità ex art. 20 della legge 67/88, che autorizzava interventi di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico, nonché la costruzione di residenze per anziani e soggetti non autosufficienti.
Questo programma ha infatti bisogno di essere rifinanziato e l'idea contenuta nella bozza è quella di utilizzare proprio una tassa di scopo su questi prodotti che tanto danneggiano la salute. Sono fondi, si legge nella bozza, senza i quali "le strutture sanitarie pubbliche sono destinate ad un progressivo degrado con inevitabili riflessi sulla qualità delle cure e sul mantenimento dei Lea", i cosiddetti Livelli essenziali di assistenza.
Potrebbero dunque avere vita breve patatine fritte, cheesburger e bibite gassate, come già avviene in Francia, dove è stata annunciata l'ormai ribattezzata tassa sulla Coca Cola, o in Danimarca, dove da qualche tempo esiste un sovrapprezzo per i prodotti ad alto contenuto di grassi. Tra cui, però, rientrano anche burro e olio d'oliva.
Insomma, si cerca di fare cassa dove si può, e siamo convinti che proposte del genere poco abbiano a che fare con intenti che mirano a ridurre l'obesità e a diffondere comportamenti alimentari corretti e salutari. Può davvero una tassa simile ridurre il consumo di cibi precotti, preconfezionati o provenienti dal fast food e di bevande alcoliche di qualsiasi tipo? Non sarebbe meglio, invece che far ricadere ancora una volta sui consumatori gli effetti di questa crisi, tassare a monte aziende e rivenditori che propongono cibi e alimenti tutt'altro che sani?

Quando il menu di pesce danneggia l'ecosistema:


Dalla Polonia all'Italia e alla Spagna, molte ricette
del periodo festivo prevedono specie ittiche a rischio estinzione

Scegliere per il menù delle feste le specie ittiche considerate più povere ma ugualmente saporite, come il pesce azzurro, per limitare i danni ambientali. A denunciare il colpo durissimo all’ecosistema marino inflitto dai piatti tipici della tradizione gastronomica, il report Last Christmas di Ocean2012, coalizione internazionale formata da più di 100 organizzazioni, tra associazioni ambientaliste e gruppi di ricerca, che dal 2009 si batte per riuscire a trasformare la pesca in Europa. Dopo decenni di sfruttamento intensivo dei mari, infatti, gli studi scientifici hanno rilevato che nelle acque dell’Unione Europea è in corso un allarmante declino degli stock ittici e che l’88% di quelli esaminati dal gruppo è da considerarsi sovrasfruttato con 1/3 che oltrepassa ormai i limiti biologici di sicurezza. A peggiorare ulteriormente la situazione già fragile degli ecosistemi, secondo i responsabili della coalizione, anche le abitudini alimentari durante le feste invernali dei cittadini europei.
Un  peschereccio spagnolo con rete a strascicoUn peschereccio spagnolo con rete a strascico
PESCE IN TAVOLA - Troppe, infatti, le specie gravemente minacciate protagoniste da sempre nei classici menù di pesce delle feste. Presenti nelle ricette tipiche, specialmente durante la Vigilia, lo storione atlantico cotto nella panna acida nel piatto natalizio tradizionale della Polonia, il salmone selvaggio e i gamberoni tropicali serviti come antipasto su quasi tutte le tavole d’Europa, l’anguilla o nella versione femminile capitone onnipresente nelle ricette italiane, spagnole e portoghesi e il merluzzo atlantico, conosciuto anche come baccalà o stoccafisso, altrettanto popolare nella gastronomia regionale nostrana. «Per limitare i danni – spiega Serena Maso, coordinatrice del comparto italiano di Ocean2012, che comprende anche una dozzina di associazioni come Mare Vivo e Lega Ambiente – basterebbe iniziare a mettere nelle ricette delle feste anche le specie che non sono minacciate. Il mercato ittico, purtroppo, è fortemente viziato e il consumatore è abituato a comprare solo i pesci più facili da preparare. Infatti, sulle 720 specie commestibili, soltanto il 10% arriva sui banchi alimentari. Le altre, come molti pesci azzurri, sono scartati soltanto perché sono più spinosi. In più, comperare questi pesci dimenticati conviene anche a livello economico, visto che costano molto meno, circa 6euro al chilo contro i 30/40 di quelli più consumati. Del resto, comperare sempre le stesse specie non solo crea dei danni biologici irreversibili, ma fa lievitare di conseguenza anche i prezzi del mercato».
LE REGOLE PER SCEGLIERE - Efficaci, secondo Ocean2012, alcuni piccoli accorgimenti che si possono prendere per cercare di limitare i danni e salvare dall’estinzione alcune specie. «Per prima cosa – spiega Maso – è bene controllare il codice Fao, il luogo di provenienza del pescato, preferendo le specie locali che incidono meno anche sui trasporti. E’ bene anche scegliere i pesci al momento giusto, ossia secondo la stagionalità. Preferendo, in questo periodo quelli invernali, come triglie, saraghi, sardine, sgombri, seppie, ricciole e alici. Poi, bisogna fare attenzione anche alla taglia minima di questi pesci, anche se questo, senza informarsi per altre vie, è un dato quasi impossibile da sapere solo guardando l’etichetta. Per questo noi, invitiamo il consumatore a rivolgere queste domande a chi vende il pesce. Infine, tra le altre cose importanti da sapere anche il metodo di pesca, preferendo quelli più selettivi e con meno impatto ambientale, ed evitare assolutamente le specie proibite. Ad esempio i datteri di mare, venduti spesso sottobanco e che per essere raccolti causano danni gravissimi alle rocce e alle scogliere».
Un piccolo squaloUn piccolo squalo
SQUALO IN TAVOLA - Tra i dati più allarmanti e curiosi raccolti dall’associazione, anche l’inaspettato e eccessivo consumo del più pericoloso predatore dei mari. Di cui l’Italia è uno dei maggiori importatori e utilizzatori. E poche persone si rendono persino conto che stanno mangiando uno squalo, altamente minacciato per la sua pesca intensiva, perché sempre è spesso chiamato con il suo nome regionale. Ad esempio vitello di mare al nord, il cagnetto in Veneto, la Nizza nelle Marche, la palomba o pallouna in Liguria, oppure spinarolo e verdesca nel resto del Paese. «E’ molto pericoloso – puntualizza Masi, coordinatrice anche del polo italiano di Shark Alliance – continuare a nutrirsi con il vertice della catena alimentare perché la sua eccessiva diminuzione nei mari crea squilibri che sono irreversibili. Spesso, arriva sulle tavole perché costa di meno e molti paesi ne stanno facendo un uso spropositato. Come l’Inghilterra, dove la maggior parte del fish and chips è ormai preparato con filetti di squalo al posto del merluzzo».
PESCA E DANNI - Pochi, secondo Ocean2012, i tentativi compiuti dall’Unione Europea per cercare di salvaguardare i mari e le specie a rischio di estinzioni, nonostante la serie di documenti con dati allarmanti, redatti in questi anni dalla coalizione su vari argomenti. Con passi avanti e normative fallite, per trovare una politica comune della pesca e le giuste riforme per gestire le risorse collegate a questa attività. «Noi non siamo assolutamente contro la pesca – afferma la coordinatrice italiana di OCean2012 – ma ci battiamo per favorire quella sostenibile, favorendo metodi e sistemi artigianali come la piccola pesca costiera. A causare i danni maggiori sono le flotte per la pesca oceanica, fatte da paesi come Usa, Cina e Giappone e alcune metodologie di pesca. Tra queste, quella fatta con le reti a strascico che raschiando il fondo del mare ha distrutto quasi tutte le praterie di poseidonie, fondamentali per la riproduzione marina, e desertificato gran parte dell’Adriatico. Oppure, ancora più grave, il continuo utilizzo nel sud Italia delle cosiddette spadare, muri di rete chiamate anche della morte perché insieme al pesce catturano anche delfini e tartarughe marine. Un metodo barbarico per il quale, nelle prossime settimane, l’Italia rischia di essere sanzionata per 120 milioni di euro dalla Commissione dell’Unione Europea».

IL Numero del giorno:

38
Le docce che, sommate, consumano la stessa quantita' di acqua necessaria a produrre una bistecca. A seconda dell'allevamento, un chilo di carne puo' richiedere da 15mila a 100mila litri di acqua.

BUON 2012

Buon anno a tutti voi, Felice 2012! :)