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26/12/11

Rinnovabili, dove i giovani trovano posto:


Il settore dell'energia pulita è uno dei pochi in Italia dove i neolaureati riescono a trovare facilmente impiego

Il gruppo di ingegneri della ricerca di Power OneIl gruppo di ingegneri della ricerca di Power One
MILANO - Specializzarsi in ingegneria elettrica o elettronica per trovare un lavoro sicuro. È quello che stanno facendo centinaia di studenti iscritti ai politecnici italiani per riuscire a trovare un impiego nel settore rinnovabili. Un business, quello dell’energia pulita, che in Italia continua ad allargarsi: con una produzione netta di energia rinnovabile che nel 2010 è stata pari al 22,8% di tutta l'energia italiana, di cui il 2,7% eolico e lo 0,6% solare (fonte Gse.it). Un trend ancora in crescita, nonostante i recenti giri di vite nel panorama degli incentivi.
MERCATO - «A partire dallo scorso marzo», spiega Luca Rai, senior manager dell’Engineering & Operations Division per la ricerca del personale di Antal International, «dopo il nuovo Decreto Rinnovabili 2011, che modifica le regole di incentivazione e di autorizzazione degli impianti fotovoltaici a terra, molte aziende hanno subito una grossa scossa a livello economico e alcune sono state costrette a chiudere i battenti. Molte imprese, tuttavia, sono riuscite a riconvertire sia gli investimenti che le tecnologie e questo ha permesso di mantenere stabile il mercato delle assunzioni».
CACCIA AI GIOVANI - Tra le aziende sempre a caccia di giovani ingegneri, la Power One, azienda internazionale produttrice di inverter per impianti fotovoltaici. L'impianto italiano è composto da 1.200 persone, e sui nuovi prodotti di ricerca lavorano 125 ingegneri, a cui se ne aggiungeranno altri 180 da assumere entro il 2013. Tra gli ingegneri del polo toscano la maggior parte è composta da giovani, ancora freschi d’università. «Siamo sempre alla ricerca di ingegneri validi da inserire nei nostri team di ricerca», spiega Averaldo Farri, amministratore delegato di Power One. «Per questo motivo, lavoriamo a stretto contatto con i poli universitari attenti al settore industriale, come ad esempio quelli di Firenze e di Pisa e, soprattutto, con le classi di circuiti elettronici di potenza di Nicola Femia dell’Università di Salerno, con cui abbiamo anche un accordo per i tirocini aziendali. Studenti che, terminato lo stage, spesso rimangono a lavorare da noi».
ESPERIENZE - Cosa che è successa all’ingegnere Martino Romano, 29enne campano inserito nel team di ricerca, sviluppo e progettazione dell’elettronica. «Quello che guardiamo in questi ragazzi», spiega Farri, «più che il voto di laurea e il tempo per terminarla sono l’apertura mentale e la sintonia con la nostra struttura. Infatti, per giudicarli non ci fermiamo ai numeri, ma guardiamo anche le idee, il modo di pensare e i contenuti. Inoltre», conclude Farri, «ai giovani ingegneri più meritevoli, terminato il periodo di prova della durata di tre mesi per cui si applica un contratto interinale, offriamo un’assunzione a tempo indeterminato».
SELEZIONE - Tra gli ultimi giovani assunti, 22 solo negli ultimi mesi, il 25enne toscano Gabriele Lombardi, impiegato nei test del settore di ricerca elettronica. «Al processo di selezione», racconta il giovane ingegnere, «oltre al colloquio tecnico sui circuiti, ho parlato molto anche delle mie prospettive». Nel polo d’eccellenza, la maggior parte sono ingegneri specializzati in sistemi elettrici, circa il 70% del totale, inseriti nel comparto hardware, dove si progettano i circuiti elettronici di potenza e si verifica la loro efficacia nei test. Sistemi messi a punto dai team d’ingegneria, a cui fa capo il 40enne Danio Nocentini, come la camera climatica CS-WH. Un struttura di 15 metri per 10 dove viene testata la capacità di resistenza degli inverter: non solo alle oscillazioni di temperatura e alle variabilità delle condizioni climatiche, ma anche alle situazioni più estreme come la corrosione nel tempo data dalla nebbia salina. Con gruppi di ingegneri impegnati ad assistere alla morte dei circuiti elettrici e a studiare soluzioni per mantenerli il più a lungo possibile in vita. Il restante 30% dei vari team di lavoro, invece, è composto da ingegneri elettronici. La maggior parte esperti di software impiegati nella gestione della sicurezza elettrica.

Codice a barre sui sacchetti, ecco la spazzatura tracciabile:


Rivoluzione per 130 mila abitanti dei 15 Comuni
del calatino. Un codice per leggerne il contenuto

CATANIA - La spazzatura diventerà hi-tech. Grazie ai sacchetti intelligenti, col codice a barre per leggerne il contenuto e identificare la famiglia che li ha prodotti. Rivoluzione per 130 mila abitanti dei 15 Comuni del calatino: in un anno la raccolta porta a porta potrebbe essere di casa per tutti. Come succede già a Licodia Eubea, che ha fatto da cavia per prima. A sperimentarla è la Kalat Ambiente, cioè la società d'ambito che gestisce l'Ato CT5, con un Progetto sperimentale sulla gestione integrata dei rifiuti che anticipa la riforma regionale degli Ato in Sicilia. Ogni busta di spazzatura sarà tracciabile, ogni famiglia avrà la certificazione di aver fatto la raccolta differenziata, e pagherà al Comune secondo quanta ne avrà consegnata al netturbino. «Entro il 2013», spiega all'Italpress il presidente Vittorio Digeronimo, «puntiamo a fare il 65% della differenziata e il 50% di recupero di materie prime che provengono dalla differenziata». Quella dei sacchetti hi-tech è solo la punta dell'iceberg: il Progetto, da 60 milioni di euro, vuole gestire in modo virtuoso tutto il ciclo dei rifiuti, tariffe e impianti inclusi.
Partendo dal primo Polo integrato: «Ci candidiamo a realizzare un polo di recupero nel calatino», prosegue Digeronimo, «per tutta la raccolta differenziata che si produce nell'area. L'impianto di compostaggio sarà ammodernato e produrrà anche energia elettrica, per ridurre col fotovoltaico i costi di conferimento. Ci siamo candidati a fare la selezione delle plastiche e delle carte e del cartone, cosí saremo indipendenti ed i nostri rifiuti non dovranno percorrere gli attuali 70 km fino a Motta S.Anastasia, con un risparmio sui costi del trasporto». I 15 sindaci hanno già detto sí al progetto, presentato anche alla Regione: per 5 anni l'affidamento del servizio, con gara aperta, sarà unico per tutti e 15. La Kalat Ambiente, che diventerà società consortile per azioni, vuole anche costruire quattro nuovi impianti: due a Grammichele per produrre 40mila tonnellate di biogas, uno dentro l'Asi per la frazione secca, e uno a Caltagirone per smaltire Rsu e rifiuti speciali. Funzionerà, visto il disastro-monnezza in Sicilia? La Kalat ambiente sfodera i numeri del 2010: 30% di raccolta differenziata, 60% di popolazione che usa il porta a porta, 8 mila tonnellate di organico nell'impianto di compostaggio, 166 kg (per abitante, per anno) di biodegradabili smaltiti in discarica, e 36 mila tonnellate di spazzatura indifferenziata, cioè 10 mila in meno rispetto a tre anni fa.

Casa mangia-smog a Cerro Maggiore (Mi)

E' stata costruita a Cerro Maggiore, in provincia di Milano, un edificio con cementi mangia-smog, vernici cattura-inquinamento, sistemi di costruzione a basso impatto ambientale. Il nome scelto per il caseggiato e' "Gaia", e comprende anche impianti di riscaldamento a risparmio energetico, niente caldaie o canne fumarie, ascensore e lampade a bassi consumi. La pittura esterna ha la caratteristica di trasformare gli agenti inquinanti in aria pulita. La vernice fotocatalitica si attiva con la luce, come spiega l'azienda detentrice del brevetto, la triestina Harpo Group, e con un processo ossidativo decompone le sostanze inquinanti. Cosi' biossido di azoto, biossido di zolfo, monossido di carbonio, benzene, ammoniaca o Pm 10 si trasformano in composti inerti a contatto con la facciata dell'edificio.

Il grande raggiro dei sacchetti "ECO"


Niente decreti attuativi e zero controlli

Un anno fa giornali e tv preannunciavano dal primo gennaio 2011 la fine dei sacchetti di plastica in polietilene (PE), e la loro sostituzione con borse completamente biodegradabili in 180 giorni, da riutilizzare in casa per la raccolta differenziata dei rifiuti organici. A distanza di 12 mesi il cambiamento è avvenuto solo in parte. La situazione è confusa perché nei supermercati si trovano i nuovi sacchetti biodegradabili, mentre in molti negozi tradizionali, nelle bancarelle degli ambulanti, nelle farmacie e in numerosi punti vendita ci sono ancora i vecchi sacchetti di polietilene. In questi mesi è apparsa anche una nuova generazione di «finti» sacchetti ecologici di bioplastica che contengono componenti non biodegradabili. Inoltre, sono appena arrivati sul mercato i nuovissimi contenitori di plastica riciclata.
MANCANO I DECRETI - «Il funerale del polietilene non c'è stato perché la legge 296 del 2006 stabilisce l'obbligo di utilizzare sacchetti biodegradabili, ma i decreti attuativi non sono mai stati approvati», spiega Luca Foltran, responsabile della divisione packaging dell'Icq, istituto controllo qualità. «In assenza di questi parametri e dell'indicazione sul periodo massimo di dissoluzione, la legge risulta svuotata e i cambiamenti sono stati affidati alla buona volontà degli operatori». Va detto che il legislatore non doveva inventare nulla, doveva solo applicare la norma europea EN 13432: 2002 utilizzata nei Comuni per i sacchetti compostabili e biodegradabili per la raccolta dell'umido. Il cambiamento vero si è registrato solo nei supermercati, che hanno deciso volontariamente di sostituire i vecchi contenitori in polietilene con i nuovi sacchetti «mollicci» biodegradabili al 100% ottenuti da amido di mais, di patata o poliestere.
L'ECOLOGICO COSTA ILDOPPIO - La novità non è piaciuta ai consumatori perché i biodegradabili sono morbidi, ma costano il doppio rispetto ai precedenti (10 centesimi al posto di 5) e si lacerano facilmente a contatto con angoli o spigoli delle confezioni. Per questo motivo i supermercati sono corsi ai ripari e hanno inserito nell'assortimento a prezzi convenienti (da 1 a 2,5 euro) bellissime borse multicolore, pieghevoli resistenti e riutilizzabili in cotone, carta di riso, tela, polipropilene. «L'operazione ha funzionato molto bene», spiega David Newman, segretario dell'Associazione italiana bioplastiche. «È vero che la legge è incompleta, ma milioni di consumatori hanno cambiato abitudini. Un'inchiesta condotta nel corso dei primi sei mesi di quest'anno in Toscana ha appurato che i clienti nei supermercati Coop usano il 58% in meno di sacchetti a favore di borse di tela o riutilizzabili. Il cambiamento è importante perché gli italiani detenevano il record europeo come utilizzatori di borse di plastica con il 25% del totale». Non tutto però è perfetto anche nella grande distribuzione, perché i sacchetti e i guanti utilizzati per la frutta e la verdura sono in polietilene e, di conseguenza, non sono biodegradabili.
LA (FINTA) NUOVA GENERAZIONE - In questi mesi è apparsa in molti negozi una nuova generazione di borse che possiamo definire «diversamente biodegradabili». Sono riconoscibili perché presentano un'elevata resistenza e riportano scritte con richiami all'ambiente e all'ecologia che confondono le idee. La gente è convinta di comprare shopperecologiche, invece si ritrova con borse di polietilene additivato con sostanze che con la luce dovrebbero favorire la frammentazione della plastica. Alla fine del processo di sbriciolamento restano minuscoli frammenti di plastica dispersi nel terreno, pericolosi per gli animali e l'ambiente. I finti sacchetti ecologici, definiti oxodegradabili, sono molto utilizzati perché sono più resistenti, costano meno rispetto ai verishopper biodegradabili, ma sono venduti allo stesso prezzo. «La soluzione migliore», propone Enrico Maria Chialchia, direttore di Unionplast, «è forse quella dei sacchetti ottenuti da plastica riciclata realizzati da alcune imprese italiane che, prime in Europa, hanno messo a punto la nuova tecnologia. Si tratta di borse poco costose che, grazie alla loro robustezza, si riutilizzano più volte e sono ottenute da plastica proveniente dalla raccolta differenziata. La distribuzione è ancora a livello sperimentale in alcune catene di supermercati. Si riconoscono dal momento che riportano il marchio «Plastica Seconda Vita». In questa situazione registrano un vero boom di vendite i sacchetti neri in polietilene destinati alla spazzatura domestica, che talvolta sostituiscono le vecchie shopper della spesa.

Il fotovoltaico intelligente e galleggiante:


Primo impianto a inseguimento su un bacino artificiale

Un progetto di Ftcc (Scintec.it)Un progetto di Ftcc (Scintec.it)
MILANO - Energia pulita senza rovinare il paesaggio? L’idea arriva dall’Italia. È stato inaugurato in provincia di Pisa il primo impianto fotovoltaico galleggiante «in movimento» che sfrutta le aree inutilizzate dei bacini artificiali. Montato su zattere che inseguono i raggi solari, ha un impatto ambientale limitato. La tecnologia del Floating Tracking Cooling Concentrator (Ftcc), questo il nome del sistema, è nata nei laboratori di una società pisana, la Scienza industria tecnologia (Sit). A fondarla, vent’anni fa, un gruppo di fisici del Cern, il maggiore centro di ricerca su particelle e alte energie in Europa.
IMPIANTO PILOTA - Il primo impianto pilota, terminato a settembre e realizzato in collaborazione con la toscana Koiné Multimedia e la Enertec di Trento, occupa 300 metri quadri del bacino di Colignola per 30 chilowatt installati, cioè l’energia sufficiente al fabbisogno di dieci abitazioni. «Il sistema che abbiamo brevettato è unico e sta ispirando aziende in Italia e all’estero», racconta Marco Rosa-Clot, amministratore delegato di Sit. «È arrivato perfino in California»
L'impianto di ColignolaL'impianto di Colignola
TECNOLOGIA - In Italia esistevano alcuni impianti galleggianti, ma erano fissi e non riuscivano a concentrare l’energia del sole. Il supporto (tracking) dei nuovi pannelli ha il vantaggio di costare la metà (500 euro per ogni kW installato) dei pali per l’inseguimento solare a terra, ed è costituito da zattere che si spostano con facilità in base all’orientamento dei raggi solari. Si avvale inoltre di riflettori che aumentano la potenza dei moduli. Il problema del surriscaldamento, che in estate diminuisce l’efficienza dei pannelli, viene evitato irrorando sui moduli l’acqua presente nel bacino. E rispetto agli impianti tradizionali sono previsti maggiori incentivi statali.
IMPATTO - Nel complesso, il fotovoltaico su zattere produce fino al 75% di energia in più rispetto a quello tradizionale, con costi ridotti del 20%. I nuovi pannelli potrebbero rappresentare una svolta per l’utilizzo del fotovoltaico in Italia, finora rallentato da timori legati all’impatto sul paesaggio e alla perdita di aree agricole. Poco invasivi, sono facili da rimuovere e possono occupare zone abbandonate o sottoutilizzate come laghi di cava, bacini idroelettrici o per l’irrigazione agricola. Una risorsa di cui l’Italia è ricca. «I laghi naturali e artificiali del nostro Paese sono tantissimi e coprono una superficie di oltre mille chilometri quadrati», spiega Rosa-Clot. I dati del Cnr confermano: nella sola Sicilia, i bacini occupano 75 chilometri quadrati. Il Paese del sole dovrà presto fare scelte coraggiose per proteggere l’ambiente. Un passo verso un futuro più sostenibile potrebbe partire da qui.

Aerei: le compagnie non-Ue devono pagare per le emissioni di CO2,


Dal 1° gennaio. Si apre una guerra commerciale-politica con gli Usa e la Cina

(Epa)(Epa)
MILANO - La Corte di giustizia dell'Unione europea ritiene valido il sistema Ets (Emission trading system) anche per il settore aereo. In pratica dal 1° gennaio 2012 le compagnie aeree dovranno pagare (compensare) per le emissioni di gas serra causate dai velivoli che atterrano nei 27 Paesi dell'Ue. I giudici europei di Lussemburgo hanno infatti respinto il ricorso presentato da alcune compagnie aeree statunitensi contrarie al provvedimento adottato dall'Ue nel 2008. «L'applicazione all'aviazione del sistema Ets non viola i principi di diritto internazionale né l'accordo Cieli aperti», dichiara la Corte. Nel 2008 l'Ue decise di obbligare tutte le compagnie aeree (europee e no) che volano nei Paesi Ue di compensare il 15% delle loro emissioni di anidride carbonica a partire dal 1° gennaio 2012. Le compagnie nordamericane hanno fatto ricorso ritenendo «discriminatoria» la normativa - alla quale si erano detti contrari 26 dei 36 membri dell'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile - anche compagnie asiatiche e russe avevano protestato.
COSTI - Secondo l'Ue i costi per i passeggeri della nuova normativa sono minimi: 1-2 euro a volo fino a un massimo di 12 euro a tratta per i voli transatlantici. Secondo il nuovo schema, a ogni compagnia aerea che atterra in Ue viene assegnata una quota di emissioni pari a poco meno della sua media storica. Se la quota viene superata, si possono comperare quote da altre compagnie che hanno emesso meno del limite assegnato. Per chi supera il limite sono previste sanzioni pari a 100 euro per ogni tonnellata di CO2, ma anche l'interdizione di atterraggio. Le compagnie americane hanno denunciato la «norma discriminatoria e una tassa sui carburanti proibita in base alla convenzione di Chicago» sui diritti d'aeroporto. Secondo la Corte di Lussemburgo, invece, la norma «non viola le norme internazionali».
RITORSIONI - Dal piano commerciale, la questione è diventata politica. Infatti la Camera dei rappresentanti Usa ha adottato un progetto di legge che proibisce alle compagnie americane di accettare la norma europea. La Cina inoltre ha minacciato ritorsioni commerciali contro l'Ue, in particolare contro Airbus. Nonostante gli aerei emettano globalmente solo il 3% dei gas serra, le compagnie aeree sono tra le sorgenti a più rapido incremento (3-4% all'anno) e in particolare quelle americane sono responsabili del 50% della CO2 emessa dagli aerei commerciali in tutto il mondo. Le compagnie americane sommano il 10% delle emissioni aeree all'interno dell'Ue, mentre per le compagnie indiane e brasiliane la quota è dell'uno per cento a Paese.
AMBIENTALISTI - La coalizione transatlantica di sei organizzazioni ambientaliste (le americane Center for Biological Diversity, Earthjustice, Environmental Defense Fund, e le europee Aviation Environment Federation, Transport & Environment e Wwf-Uk) plaude alla decisione della Corte di Lussemburgo. «La decisione odierna stabilisce che la normativa Ue non è contraria alla sovranità delle altre nazioni, e non riguarda i trattati internazionali», dice una nota della coalizione.