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18/02/12

Bio shopper: il Mater B della Novamont è più dannoso della plastica,


bio-shopperLo stop ai sacchetti di plastica potrebbe avere enormi ripercussioni sul nostro sistema sociale ed enomico. Ne è convinta Fareambienteche, nel corso di un’audizione in commissione Ambiente alla Camera, si è schierata contro l’articolo 2 del decreto che vieta l'uso di sostanze chimiche nelle shopper.
"Da un calcolo approssimativo per difetto del centro studi del Comitato Nazionale Plastiche Biodegradabili abbiamo quantificato oltre 2000 aziende italiane costrette a chiudere se dovesse essere approvato l'art. 2 del decreto Rifiuti relativo ai sacchetti di plasticabiodegradabile – ha affermato in audizione Marco Banini, del Comitato di Fareambiente - Il totale dei posti di lavoro che si perderebbero superano le 20.000 unità, a fronte di non oltre 1.000 unità che potrebbero crearsi".
Così come già dichiarato in passato, Fareambiente è sceso in campo contro quanto previsto dalla norma EN 13432 e in particolare contro l’uso di bioplastiche derivanti da prodotti alimentari (come l’amido di mais), il divieto di utilizzo di additivi e la definizione dei criteri di biodegradabilità delle shopper bio.
Il vicepresidente nazionale Erica Botticelli ha dichiarato che "Secondo l'Ispra l'utilizzo di amidi per la produzione di plastiche biodegradabili - utilizzati soltanto nel Mater-Bi della Novamont - sarebbe più dannoso per l'ambiente fino a dieci volte e più tossico per l'uomo fino a 5 volte la tossicità delle normali plastiche biodegradabili prodotte con additivi certificati biodegradabili”. Nel corso della conferenza Stato-Regioni, l'Ispra avrebbe precisato che “la 13432 non serve a definire la biodegradabilità in generale ma soltanto la biodegradabilità in centri di compostaggio industriali – ha aggiunto Erica Botticelli - Significa che se dispersi nell'ambiente o trattati in altro modo (riciclaggio, compostiere condominiali, discariche e ogni altra forma prevista dalla direttiva rifiuti) non assicurano la biodegradabilità”.
Il movimento Fareambiente denuncia poi un presunto conflitto di interessi tra la Novamont, unica produttrice di sacchetti con bioplastiche di mais Mater-Bi, e il Cen, il Comitato europeo di normazione che ha varato la norma europea di riferimento.
Si tratta dell'instaurazione di un monopolio nella produzione dei sacchetti biodegradabili – ha dichiarato Marco Banini - È ancora più grave se si considera che nell'azionariato dell'unica azienda in grado di produrre i sacchetti secondo le specifiche indicate (Mater Bi Spa) figurano tra gli altri Banca Intesa (socio di maggioranza) ed alcune società estere portoghesi, di Malta e del Lussemburgo. – Inoltre, prosegue - C'è una coincidenza strana: la norma tecnica non giuridica presa a riferimento EN 13432, è stata varata dal Cen, struttura belga che si avvale dello staff di Novamont, ovvero del nuovo monopolista”.
Per Fareambiente, quindi, risulta indispensabile l’individuazione di un istituto scientifico terzo che posa effettuare una valutazione più oggettiva e attendibile riguardo i possibili danni alla salute e all’ambiente che la dispersione dei sacchetti biodegradabili potrebbe arrecare. Inoltre, in commissione Ambiente del Senato è già stato proposto un emendamento per scongiurare i rischi prospettati e bloccare l’approvazione dell’articolo 2 del decreto rifiuti.

Bauhaus: la chiatta "passiva", ovvero la casa-barca autosufficiente,


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Dormire cullati dalle dolci onde del fiume o preparare il caffè col sottofondo dello sciabordio dell’acqua, godere di una vista mozzafiato migliore di quella offerta da tante case in città o trasferirsi in libertà da un posto all’altro. E senza dover traslocare. L'idea di vivere in barca esattamente come in un qualsiasi appartamento è romantica e affascinante. E se la casa-barca fosse anche autosufficiente? Bauhausuna chiatta “passiva”, attraccata attualmente a Londra, che dispone di un’ampia illuminazione naturale e di un sistema solare fotovoltaico che fornisce 1.7kW di energia, è la risposta.
In molte città d'acqua, come Londra o Amsterdam, la barca non è, infatti, solo un mezzo, ma anche un luogo in cui vivere. David Gilmour, il chitarrista dei Pink Floyd, ad esempio, abita in un’imbarcazione a Londra, sul Tamigi. Così, Bauhaus, può diventare una nuova soluzione per il vivere sostenibile, che offre la possibilità di spostarsi dove e quando si vuole in completo rispetto della natura.
Ma, a differenza di una barca a vela, su Bauhaus avrete la possibilità di scegliere se usare l'energia rinnovabile per il movimento dell’imbarcazione o per alimentare gadget elettrici e cucina. Infatti “non c'è gas a bordo – spiegano i produttori- e si cucina con l'energia generata dal sistema fotovoltaico.
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Nei mesi invernali ci si può riscaldare con una stufa a legna del 1930”, in stile, guarda caso, Bauhaus. Se si aggiunge una turbina eolica, poi, sarà possibile compensare la poca energia dell'impianto fotovoltaico nei mesi invernali. E non sarà nemmeno necessario il calore del legno.

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La chiatta è disponibile per la vendita - anche se non è specificato il prezzo -  e può essere spedita in tutta Europa, anche sulla terra ferma. Allora cosa aspettiamo? La cosa bella di vivere in un barcone è il senso infinito di libertà offerto dagli orizzonti che cambiano continuamente. Certo, va considerato anche il lato peggiore, quello del mantenimento della struttura. Ma forse ne può valere la pena se al momento di partire per le vacanze non resta che levare l’ancora e salpare.

Biologico: storico accordo tra USA e UE per la commercializzazione dei prodotti:


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A partire dal 1° giugno 2012 i prodotti biologici certificati nell’Unione Europea o negli Stati Uniti "potranno essere venduti come biologici nei rispettivi territori". E’ questo lo storico accordo raggiunto ieri nella giornata di apertura del BioFach 2012, la più importante fiera del biologico europeo che si sta svolgendo a Norimberga.
Una partnership, questa, tra i due maggiori produttori bio del mondo - sottoscritta da Dacian Cioloş, Commissario europeo per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale e Kathleen Merrigan, Sottosegretario del ministero USA dell'Agricoltura  - che spalanca le porte dei mercati d’oltreoceano al biologico europeo favorendo su scala mondiale un settore già in espansione. Un settore stimato, complessivamente, negli USA e nella UE, in 40 miliardi di euro e che trarrà, di sicuro nuovo vigore, da questo accordo.Anche perché fino a ieri i coltivatori e le aziende che intendevano commercializzare i loro prodotti negli Stati Uniti o in Europa dovevano ottenere certificazioni distinte che attestassero il rispetto delle due normative. Un onere duplice, quindi, che non tutte le imprese erano in grado di sostenere.
Da giugno, invece, grazie allo storico partenariato, raggiunto a seguito di approfonditi controlli svolti per garantire la compatibilità dei requisiti, della regolamentazione e delle misure di controllo della qualità, nonché delle norme di etichettatura, i prodotti certificati in Europa o negli Stati Uniti non avranno bisogno di ulteriore certificazione.
Nonostante tra le norme di produzione biologica degli Stati Uniti e quelle dell'Unione europea vi siano leggere differenze, le due parti sono giunte separatamente alla conclusione che, tranne per il divieto in materia di uso degli antibiotici, i loro programmi sono equivalenti – spiega ilcomunicato stampa - I regolamenti dello US Department of Agriculture (USDA) per la produzione biologica vietano l'uso di antibiotici, tranne per contrastare infezioni batteriche invasive (come il colpo di fuoco) in meleti e pereti biologici. I regolamenti dell'Unione europea permettono l'uso di antibiotici soltanto per trattare animali infetti. Per tutti i prodotti commercializzati nell'ambito di tale partenariato, gli organismi di certificazione devono accertare che gli antibiotici non siano stati utilizzati per alcun motivo”.
Per la spedizione sarà comunque necessario un certificato di esportazione di prodotti biologici in cui venga indicato il luogo di produzione e l’organismo che ha certificato il prodotto, in modo da consentirne la tracciabilità. A controllare e supervisionare le attività di esportazioni saranno rispettivamente la Direzione generale dell'Agricoltura e dello sviluppo rurale della Commissione europea e il programma nazionale di agricoltura biologica dell'USDA, negli Stati Uniti.
"Questo accordo ha un duplice valore aggiunto. In primo luogo facilita l'accesso ai due mercati, degli Stati Uniti e dell'Unione europea, per gli agricoltori e i produttori di alimenti biologici e rafforza pertanto la competitività di questo settore. Inoltre, migliora la trasparenza riguardo alle norme di produzione biologica e rafforza la fiducia dei consumatori nonché il riconoscimento dei nostri prodotti e alimenti biologici", ha dichiarato Dacian Cioloş, Commissario europeo responsabile per l'Agricoltura e lo sviluppo rurale. "Questo partenariato costituisce un passo importante e porta a nuovo livello di cooperazione le relazioni nel settore del commercio di prodotti agricoli tra l'UE e gli Stati Uniti.".
"L'accordo offre numerose nuove opportunità di mercato agli agricoltori e alle aziende di prodotti biologici delle due sponde dell'Atlantico", ha dichiarato Kathleen Merrigan, Sottosegretario del ministero dell'Agricoltura degli Stati Uniti. "Si tratta di un evento positivo per l'economia americana e per la strategia in materia di occupazione del presidente Obama. L'accordo apre nuovi mercati agli agricoltori e alle imprese agricole degli USA, crea maggiori opportunità per le piccole imprese nonché occupazione di qualità nelle aziende degli Stati Uniti attive nei settori del condizionamento, della spedizione e della commercializzare dei prodotti biologici.".
Si tratta di un accordo molto importante – commenta Paolo Carnemolla, Presidente di FederBio– che rafforza la competitività nel settore e stimola quindi, come sottolineato dal Commissario Europeo Cioloş, la trasparenza in riferimento alle norme di produzione biologica. E’ bene ricordare che il mercato del bio è molto vivace negli Stati Uniti, dove si consuma più del 40% del biologico a livello mondiale. Questo partenariato offrirà inoltre nuove opportunità di mercato agli agricoltori e alle aziende di prodotti biologici, anche quelle più piccole, permettendo quindi anche all’Italia di essere sempre più presente in un mercato competitivo e innovativo come quello degli US. FederBio è da tempo impegnata per la promozione del biologico italiano negli Stati Uniti; proprio nei prossimi giorni parte il progetto di promozione triennale “Organic Food – Organic Mood” che prevede azioni mirate di promozione anche negli USA, per le quali FederBio mette a disposizione di tute le realtà italiane la propria esperienza e preparazione perché ciascuna di esse sia preparate a portare sull’altra sponda dell’Atlantico la qualità e la trasparenza del bio Made in Italy”. 

La carne consuma le stesse emissioni della metà delle auto inglesi:


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Se ogni abitante del Regno Unito decidesse si diventare vegetariano o, ancora meglio, vegano,si verificherebbero benefici per l’ambiente pari a quelli che si otterrebbero se alla metà delle auto presenti attualmente sulle strade inglesi venisse immediatamente vietata la circolazione. Sono questi gli incoraggianti risultati ottenuti da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Lancaster University, che hanno calcolato l’impatto ambientale, con particolare attenzione alle emissioni di co2, relativamente alla produzione di 61 alimenti.
Carne e formaggi si trovano, loro malgrado, in cima alla lista dei cibi considerati maggiormente inquinanti. In base ai calcoli effettuati dagli esperti, nel Regno Unito le emissioni di tutta l’industria alimentare ammonterebbero ad un totale di 167 milioni di tonnellate di co2, cifra che potrebbe essere ridotta del 22-26% se soltanto gli inglesi decidessero di optare per unaalimentazione vegetariana.




Nick Hewitt, professore della suddetta università alla guida dei presenti studi, ha rilasciato in proposito alcune dichiarazioni, riportate sulle pagine del quotidiano britannico The Independent“Le nostre analisi dimostrano come le scelte alimentari possano determinare un impatto significativo relativamente alle emissioni di gas serra. Le emissioni legate alla produzione di alimenti si ridurrebbero così di almeno un quarto e vi sarebbero inoltre evidenti benefici per la salute della popolazione”.
Secondo Hewitt, inoltre, se tutti i cittadini britannici diventassero vegetariani, si risparmierebbero all’anno ben 40 milioni di tonnellate di co2 derivante da emissioni legate alla produzione di alimenti, carne in primis. Lo studio in questione è stato pubblicato dall’autorevole rivista di settore Energy Policy. Da esso emerge come carne fresca e formaggi siano i due alimenti responsabili della maggior quantità di emissioni, con ben 17 kg di co2 per ogni kg di carne, dato che scende soltanto a 15 kg nel caso del formaggio.
Le emissioni provocate dalla coltivazione e dalla produzione di alimenti quali patate, mele, panecereali sono inferiori ai 2 kg di anidride carbonica per chilo di prodotto. I valori salgono nel caso della frutta esotica coltivata all’interno di serre riscaldate. Per quanto riguarda le bevande, la produzione di vino ha un impronta di carbonio di 2 kg per chilo.
Simili dati non possono che essere considerati come un sostegno ulteriore alle scelte effettuate da coloro che hanno deciso di optare per una dieta vegetariana o vegana al fine di ridurre il proprio impatto ambientale. Dalla scelta di non consumare prodotti animali e loro derivati consegue infatti la decisione di non orientare i propri acquisti verso di essi e quindi di non finanziare le casse di coloro che li producono.
Resta però il fatto che non tutti sarebbero pronti a rinunciare dall’oggi al domani a carne, formaggi ed altri derivati animali in nome dell’ambiente. Se smantellare tanta parte dell’industria alimentare potrebbe essere considerato utopico, forse potrebbe non esserlo la possibilità di intraprendere provvedimenti volti alla riduzione delle emissioni nocive da essa causate.

Sai cosa c'è nel tuo rossetto? Negli USA trovate tracce di piombo:


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Sai cosa c’è nel tuo rossetto? Potrebbe essere una simile domanda a fare da slogan ad una eventuale campagna italiana di sensibilizzazione riguardo agli ingredienti contenuti nei cosmetici. Negli Stati Uniti sono già sorti diversi dubbi sugli ingredienti impiegati per la produzione del cosmetico più utilizzato dalle donne in tutto il mondo. Ad avanzarli sono gli esponenti del gruppo Campaign for Safe Cosmetics, trovatisi di fronte ai risultati di uno studio indipendente condotto dalla Food and Drug Administration, che ha evidenziato tracce dipiombo in oltre 400 tipi di rossetto comunemente presenti in commercio negli USA.
L’UniproAssociazione Italiana delle Imprese Cosmetiche, è immediatamente intervenuta per rassicurare tutte le consumatrici italiane dalla possibile presenza di percentuali di piombo potenzialmente dannose nei rossetti in vendita entro i confini dell’Unione Europea. Tracce di piombo, a detta dell’associazione, sarebbero infatti presenti nei suddetti prodotti soloconseguentemente a contaminazioni, poiché il piombo non risulta tra gli ingredienti attualmente ammessi nella produzione di cosmetici. Ecco le parole esatte comunicate da Unipro riguardo agli ingredienti contenuti nei cosmetici:
"L'uso degli ingredienti presenti nei cosmetici è regolato da rigide norme sia nazionali che comunitarie (in particolare dalla Direttiva Cosmetici 76/768/CEE e successive modifiche) e i prodotti cosmetici sono soggetti ad analisi scientifiche e stretti controlli di sicurezza prima della loro immissione sul mercato".

Per quanto riguarda la presenza di piombo, Unipro specifica:
"Il piombo è un elemento naturale comune che si può trovare ovunque nell'ambiente, ma non è aggiunto ai cosmetici intenzionalmente. I consumatori sono quotidianamente esposti al piombo ogni volta che mangiano, bevono acqua e respirano aria. La quantità media di piombo alla quale una donna potrebbe essere esposta usando cosmetici, come ad esempio i rossetti, è 1.000 volte inferiore rispetto alla quantità con cui verrebbe in contatto mangiando, respirando e bevendo acqua".
Possiamo dunque restare tranquilli? Siamo certi che le normative europee vengano seguite alla lettera durante la produzione di rossetti ed altri cosmetici e che gli ingredienti impiegati siano davvero innocui? I consumatori sono giustamente alla ricerca di certezze assolute e proseguono nel sollevare dubbi legittimi, in particolare nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati da donne in gravidanza o, come spesso accade, dagli stessi bambini. Quale bambina, ad esempio, non ha mai provato ad imitare i gesti quotidiani compiuti dalla propria mamma nello stendere un velo di rossetto sulle labbra?
Il vero problema è che la questione della sicurezza per la salute degli ingredienti contenuti nei cosmetici non riguarda esclusivamente il piombo o altri contaminanti che si rivelano frequentemente causa di dermatiti e reazioni allergiche, quali il nikel, il cromo ed il cobalto, le cui tracce sono state riscontrate non solo nei prodotti di bellezza così come in detersivi e tinture impiegate per la colorazione dei tessuti (si vedano, in proposito, i libri “Vestiti che fanno male” di Rita Dalla Rosa e “I vestiti nuovi del consumatore” di Deborah Lucchetti), ma anche le sostanze ancora attualmente ammesse nella loro composizione.
Vi sono infatti ancora diversi dubbi circa la totale innocuità di alcuni conservanti, come iparabeni, da tempo sospettati di essere cancerogeni, gli ftalati, i cessori di formaldeide, i profumi di sintesi ed i coloranti. Finché non verrà fatta completa chiarezza sulla questione, come fare per tutelare la nostra pelle ed il nostro organismo da potenziali nemici? Ricorrendo, ad esempio, all’autoproduzione dei cosmetici impiegando ingredienti naturali completamente innocui. E’ giunto dunque il momento di rispolverare i nostri consigli di qualche tempo fa riguardo alla preparazione di un rossetto fai-da-te (i vegani potranno omettere l’impiego di cera d’api) ed alla scelta di rossetti biologici amici della pelle e dell’ambiente.