31/10/12
Pesticidi nel piatto, ecco il rapporto di Legambiente
30/10/12
Sosteniamo Manduvirà e la costruzione di uno zuccherificio in Paraguay
Parte ad ottobre 2012, nelle Botteghe aderenti, una campagna di raccolta fondi che aiuterà la costruzione del primo zuccherificio di proprietà dei produttori in Paraguay
Per la prima volta nella storia del Paraguay i coltivatori saranno anche proprietari dell’azienda che trasforma la canna da zucchero. Altromercato ha fortemente sostenuto questo progetto, ma mancano circa 80.000 euro per vederlo finalmente realizzato.Puoi aiutarci a portare a termine questo progetto acquistando nelle Botteghe Altromercato che aderiscono alla raccolta fondi lo zucchero Altromercato, il calendario 2013 che sarà disponibile da ottobre nei negozi oppure attraverso una donazione.
Maggiori informazioni CLICCANDO QUI29/10/12
Legno ecologico dagli scarti delle banane
Gli scarti dei banani possono tornare a nuova vita. Come? Diventando legno a basso impatto ambientale. Non è utopia ma un progetto già immesso sul mercato dall'azienda Beleaf con un processo innovativo analizzato dal Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC), in collaborazione con WWF Italia.
Com'è nata l'idea di trasformare gli scarti del banano in legno? Questo materiale viene solitamente sminuzzato e interrato dai coltivatori delle piantagioni delle zone tropicali, perché è un ottimo fertilizzante naturale. Ma in superficie è usato anche per contenere la crescita delle erbe infestanti e mantenere il giusto grado di umidità del terreno. Proprio a partire dall’acquisizione di queste conoscenze locali, Beleaf ha puntato sul potenziale riciclo dei fusti di banano.La nuova materia realizzata grazie agli scarti della coltivazione delle banane presenti nelle aree tropicali potrebbe arrivare a sostituire il legno di pannelli e impiallacciature riducendo gli impatti ambientali del 90%. In sostituzione del classico legno proveniente dalle foreste, l'uso della sola biomassa vegetale, uno scarto, un rifiuto se vogliamo, potrebbe evitare l’uso di risorse primarie forestali, riducendo la deforestazione e l’occupazione di suolo nel caso di impianti fortemente inquinanti.
Oltre a salvare le foreste, il legno prodotto dal banano non necessita di colle e sostanze chimiche inquinanti grazie alla presenza delle resine naturali della pianta. Ma non solo: azzera anche l’impiego di risorse idriche nella catena produttiva perché nel banano è presente un'elevata percentuale d'acqua. Una miniera di salute per l'uomo e l'ambiente. Con un risvolto sociale. Il processo produttivo impiegato da Beleaf per il trattamento del legno ha coinvolto nella fase di raccolta della materia prima (scarti del banano) i piccoli proprietari terrieri a conduzione agricola familiare, escludendo i terreni gestiti da multinazionali. I benefici riguardano dunque l'occupazione in aree del mondo svantaggiate.
Quanto fa bene all'ambiente il nuovo legno? Solo considerando la realizzazioni dei prodotti principali come pannelli e piallacci, vengono rispettivamente risparmiati il 32% e il 58% di emissioni di gas serra, rispetto al processo convenzionale di produzione di impiallacciature di legno. Senza contare i vantaggi legati ad un rallentamento della deforestazione. “Con un minimo sforzo la catena produttiva promossa da Beleaf, che usa materiali di scarto, ha coniugato in questo suo prodotto innovazione di mercato e bassi impatti ambientali, sviluppando un modello replicabile a tutti i Paesi attivi in questa produzione” – ha detto in una nota Massimiliano Rocco, Responsabile Foreste WWF Italia - Oggi più che mai bisogna diminuire la pressione dall’uso massiccio e illegale del legname proveniente dalle foreste tropicali e fare del riciclo un imperativo di vita. Questo nuovo prodotto raggiunge entrambi questi obiettivi, contribuendo alla sfida che noi tutti dobbiamo cogliere di rendere sostenibile la nostra presenza per questo pianeta, che è l’unico che abbiamo.”
27/10/12
La catastrofe certificata, campagna abiti puliti in Pakistan
La SA8000 è uno strumento che dovrebbe certificare il comportamento eticamente corretto delle imprese e della filiera di produzione verso i lavoratori attraverso il possesso di alcuni requisiti standard, tra cui il rispetto dei diritti umani, il rispetto dei diritti dei lavoratori, la tutela contro lo sfruttamento dei minori, le garanzie di sicurezza e salubrità sul posto di lavoro.
L’ 11 Settembre scorso quasi 300 lavoratori sono stati uccisi da un incendio divampato nella fabbrica che produceva jeans per l'esportazione. La fabbrica non era legalmente registrata presso il governo del Pakistan e non aveva assunto la maggior parte dei lavoratori con contratti di lavoro regolari. L’enorme bilancio delle vittime è il risultato di inadeguate uscite di sicurezza, scale bloccate e finestre sbarrate, che hanno impedito la fuga di molti lavoratori dall'incendio.Nasir Mansoor dalla National Trade Union Federation in Pakistan ha dichiarato: “È incredibile che importanti aziende di abbigliamento e gli enti di accreditamento nascondano il loro coinvolgimento nella fabbrica Ali Enterprises o neghino la loro responsabilità nell’incendio. Le famiglie dei lavoratori deceduti e feriti meritano piena trasparenza in merito al ruolo delle organizzazioni di controllo, che hanno dato un certificato di buona salute per la sicurezza della fabbrica, e dei marchi che sono stati in grado di fare profitti a discapito della sicurezza dei lavoratori.”
In una risposta a una lettera della coalizione dei gruppi internazionali per i diritti dei lavoratori, SAI e SAAS hanno negato ogni responsabilità per l’incendio, opponendo un vincolo alla segretezza come ragione per la quale né loro né la società di revisione italiana, RINA, possono condividere tutte le informazioni di cui dispongono sulla fabbrica . Essi sostengono che sia RINA che SAAS stanno compiendo delle indagini, ma si rifiutano di condividere le loro informazioni con i rappresentanti dei lavoratori in Pakistan.“I terribili eventi dell'11 settembre mettono in evidenza le debolezze del sistema di certificazione SAI, che ha gravemente deluso chi avrebbe dovuto proteggere”, ha detto Deborah Lucchetti della Clean Clothes Campaign italiana. “Se SAI vuole mantenere un minimo di credibilità deve far cadere il velo della segretezza dietro cui si è attualmente nascosta e iniziare a cooperare con quei soggetti che chiedono giustizia per le vittime dell’incendio alla Ali Enterprises”.
La Clean Clothes Campaign (CCC), il Worker Rights Consortium (WRC), il Maquila Solidarity Network (MSN) e l’International Labor Rights Forum (ILRF) hanno invitato tutti i buyers della fabbrica Ali Enterprises a farsi avanti e a garantire che le vittime del rogo siano pienamente ricompensate, che ai lavoratori vengano pagati i loro stipendi in questo periodo di chiusura della fabbrica, e che misure credibili vengano messe in campo per prevenire che una simile tragedia accada di nuovo. Finora, l'unica azienda che ha ammesso di rifornirsi dalla fabbrica, la KiK, lo ha fatto solo a fronte di prove pubbliche a testimonianza della relazione commerciale con l’azienda pakistana. Nessuno degli altri acquirenti è stato ancora identificato.Dal 9 al 11 ottobre SAI sta tenendo una riunione del suo Advisory Board a Bologna. Gli attivisti chiedono che il Consiglio si impegni a cooperare con i gruppi di lavoro per garantire la giustizia per questi lavoratori, ad adottare misure per far luce sugli eventi che hanno portato a questa terribile tragedia e a contribuire a garantire che le vittime ottengano l'assistenza di cui hanno bisogno e meritano. Ciò include la pubblicazione delle relazioni degli audit e la comunicazione di informazioni sui buyers dalla fabbrica.
Consiglio di lettura sull'argomento:
I vestiti nuovi del consumatore di Deborah Lucchetti, Altreconomia euro 4,50Guida ai vestiti solidali, biologici, recuperati: per conciliare estetica ed etica nel proprio guardaroba
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- Via Petroni 9/b
- 40126 Bologna
- 0512759196