L’economia del recupero è cresciuta del 40%, ma ne sfruttiamo poco le potenzialità
Noi & gli altriIn Europa lo slancio di valorizzazione del rifiuto è tale, che la Germania sta addirittura prendendo in considerazione l'ipotesi di andare progressivamente a scavare nelle discariche già bonificate, per tirar fuori anche da là i metalli rimasti sepolti nei secoli di utilizzo. Già oggi l'acciaio tedesco è prodotto almeno al 50% riciclando resti rottamati. Potrebbe essere così anche per l'Italia, dove il pattume genera un business da 15-20 miliardi — in base ai calcoli dell'Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano — comprendendo tutte le attività connesse, dalla raccolta alla valorizzazione finale. Il settore gira attorno a 32 milioni di tonnellate di rifiuti urbani all'anno, per la cui gestione si spendono complessivamente tra 200 e 250 euro a tonnellata, e 150 milioni di tonnellate di rifiuti industriali, il cui smaltimento ovviamente ha costi ben più elevati. Ma qui il recupero dei materiali è molto meno efficiente.
Recupero
Con una produzione annuale di oltre mezza tonnellata pro capite, l'Italia è il terzo Paese europeo per dimensione del mercato dei rifiuti urbani, ma in questo segmento — secondo i dati del Politecnico — il riciclo si ferma al 33%, mentre il 53% finisce in discarica, con divari enormi da regione a regione (dal 9% della Lombardia al 99% della Sicilia), e solo il 14% dei rifiuti viene sfruttato come combustibile per produrre energia. Una situazione preoccupante, considerando che la Commissione europea si sta orientando per vietare le discariche in tutta l'Unione e impone di arrivare al 50% di riciclo entro il 2020. Germania, Austria, Svezia e Danimarca hanno già messo le discariche fuori legge e in questi Paesi, ma anche in Francia, Olanda e Belgio, il riciclo dei rifiuti urbani oscilla fra il 40 e il 70%. Il resto si brucia nei termovalorizzatori. Il salto di qualità del recupero, nel resto d'Europa, è avvenuto proprio con il divieto delle discariche. In Italia, invece, il rifiuto gettato in oltre mille discariche è troppo remunerativo per valorizzarlo come materia prima o combustibile.
Con una produzione annuale di oltre mezza tonnellata pro capite, l'Italia è il terzo Paese europeo per dimensione del mercato dei rifiuti urbani, ma in questo segmento — secondo i dati del Politecnico — il riciclo si ferma al 33%, mentre il 53% finisce in discarica, con divari enormi da regione a regione (dal 9% della Lombardia al 99% della Sicilia), e solo il 14% dei rifiuti viene sfruttato come combustibile per produrre energia. Una situazione preoccupante, considerando che la Commissione europea si sta orientando per vietare le discariche in tutta l'Unione e impone di arrivare al 50% di riciclo entro il 2020. Germania, Austria, Svezia e Danimarca hanno già messo le discariche fuori legge e in questi Paesi, ma anche in Francia, Olanda e Belgio, il riciclo dei rifiuti urbani oscilla fra il 40 e il 70%. Il resto si brucia nei termovalorizzatori. Il salto di qualità del recupero, nel resto d'Europa, è avvenuto proprio con il divieto delle discariche. In Italia, invece, il rifiuto gettato in oltre mille discariche è troppo remunerativo per valorizzarlo come materia prima o combustibile.
RitardiDati sconfortanti arrivano anche dal recupero degli inerti in edilizia, che non supera il 10% su un totale gigantesco, di 60-70 milioni di tonnellate. Va un po' meglio nel recupero dei rifiuti industriali, dove i metalli si riciclano ormai all'80% e la carta al 60%. Aumenta anche il recupero dei rifiuti elettrici, che nel 2011 ha superato le 265 mila tonnellate, +6% rispetto al 2010. «Siamo finalmente oltre l'obiettivo europeo di 4 chili per abitante, ma c'è ampio spazio per crescere, visto che almeno due terzi degli elettrodomestici consumati scompaiono per mille rivoli e vanno a inquinare l'ambiente con i gas e le componenti chimiche tossiche che contengono», spiega Giorgio Arienti, direttore generale di Ecodom, il consorzio che se ne occupa. Se in Svezia o in Svizzera se ne recuperano 16 chili per abitante e in Germania 12, vuol dire che nel nostro sistema c'è qualcosa che non va, secondo Arienti. «In particolare, bisognerebbe facilitare il più possibile la restituzione degli elettrodomestici ai negozianti, senza costringere i cittadini a registrarsi con nome e cognome per ogni apparecchio vecchio che consegnano quando ne comperano uno nuovo», suggerisce. È anni che gli operatori interessati chiedono al governo di facilitare le consegne, senza successo.
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